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Salernitana, le maschere della politica

Un anno fa gli stracci tra De Luca, Comune e proprietà, ora nuove parole al miele. Impianti e promesse: Salerno in zona retrocessione
Salernitana e politica

Una doppia mascherina, una bianca e una celeste ma nulla che facesse risalire alla fede calcistica. Due comunissime mascherine, di quelle che usano tutti: niente simboli, nessuna identità, zero pubblicità. Giusto così. Non è mica da una maschera che si giudica un presidente, un politico oppure un tifoso. La notizia invece è che l’esuberante Claudio Lotito sia tornato sette mesi dopo all’Arechi, rispettando in pieno il protocollo di sicurezza e distanziamento. Trattenendo, trattenendosi. Non una parola ufficiale e nemmeno un’imposizione tattica, come successe anni fa invece al malcapitato Menichini nella gara col Matera.

Zero parole, e niente mascherina granata: magari il passionale tifoso e assessore comunale all’Ambiente e allo Sport Angelo Caramanno – anche lui seduto in tribuna così come l’altro co-patron Marco Mezzaroma – avrebbe potuto offrirgliene una stilizzata, con tanto d’ippocampo. Chissà. Magari una mascherina simile a quella indossata nella celebrazione del centunesimo anniversario della Salernitana. Palazzo di Città illuminato di granata e davanti la sede municipale il sindaco, il co-proprietario granata e l’assessore. Plasticamente immortalati in una foto digitale: a distanza regolamentare con regolamentare mascherina ma assieme in favore di taccuini, microfoni e telecamere.

Il sindaco: «L’illuminazione granata e la proiezione del logo della Salernitana sulla facciata del Comune sono un piccolo contributo che la città offre alla sua squadra del cuore. Sono una speranza di futuro». Il co-patron: «Ho manifestato la mia ammirazione al sindaco, ha passato un periodo impegnativo e pieno di responsabilità. Con l’amministrazione comunale i rapporti sono sempre collaborativi, cordiali e leali». L’assessore, infine: «Ci sono bei progetti importanti, si possono fare belle cose insieme alla società. Come Comune facciamo la nostra parte, ci aspettiamo lo stesso. Sono fiducioso».

Chissà, magari sarà stata l’aria sanificata, sterilizzata dopo tre mesi di lockdown. Un’aria certo completamente diversa rispetto a quella velenosa e inquinata di un anno fa quando, in occasione del centenario granata, le parole degli stessi protagonisti ebbero tenore e toni diversi. Uno scambio di stilettate, inaugurate dall’affondo del governatore Vincenzo De Luca l’11 marzo sul prato dell’Arechi: «Lotito ci dica cosa vuole fare, è arrivato il momento di chiedergli il conto». La diserzione in massa dei tifosi, dalla sfida casalinga seguente: una combinazione cari complottisti e maligni, voi cosa mai pensate? Arrivò poi l’aut-aut dell’assessore Caramanno: «Salerno merita rispetto, la società è completamente assente». Persino il moderato e sempre ingessato ma sempre galantuomo sindaco Enzo Napoli: «La società faccia in modo che l’anno prossimo la squadra non si salvi all’ultimo decimo di secondo, manifesti con fatti concreti cosa voglia fare». Duello chiuso a modo suo da Claudio Lotito a Venezia, a salvezza raggiunta, prima dell’abominevole e provincialissima disputa sull’organizzazione della festa del centenario. «Ringrazino che c’è un pazzo come me che ancora mette soldi e tempo nella Salernitana. Il sindaco l’ultima partita l’ha vista in curva… Diteglielo pure da parte mia».

E già, perché proprio nella sfida d’andata dei playout, in una curva Sud semivuota il sindaco Napoli – uno che per sua stessa ammissione il calcio non lo ama e non lo segue – era sul primo gradone dell’anello superiore, appoggiato alla balaustra insieme al figlio del governatore, l’onorevole Piero De Luca: lui sì invece spesso presente all’Arechi ma sempre in tribuna com l’altro fratello e spesso di fianco al papà, il governatore che sul prato del pallone ama però vedere il catenaccio nonostante professi un’indole offensiva nella comunicazione e nella gestione della cosa pubblica. Una plastica rappresentazione – quella del sindaco e dell’onorevole in curva – di come, così come sempre accaduto nel corso degli anni, politici e amministratori locali (succede anche altrove, per carità) di tutti colori usino il colore della Salernitana come una proprietà propria, come il mezzo di consenso e di persuasione sulle masse, specie quelle tifose. Come fosse uno scambio di affari e interessi, come se il pallone fosse solo un voto di scambio tra appalti e abbonamenti.

Roba che al confronto viene da sorridere adesso, adesso ripensando al lontano 1983. Quando Arcangelo Iapicca, ex presidente dell’Avellino, parlò da un palco in transito – a memoria un camion – davanti allo stadio Vestuti. Lì, quel giorno, si tenne un comizio calcistico-elettorale. Il futuro presidente della Salernitana – al suo fianco l’imbarazzato neo-allenatore Mario Facco – in una piazza Casalbore gremita pronunciò frasi rimaste nella storia. «Porterò la Salernitana in serie B. Prenderò un grande manageri». Manageri (Mario David fu il ds dopo che Franco Janich rispose picche, il secondo anno per sei mesi ci provò Corrado Viciani) non è un refuso, no: il candidato alle elezioni politiche del 1983, collegio Avellino-Benevento-Salerno, disse proprio così, tra molti sorrisi e consensi. Ne prese cinquemila di voti ma non bastarono per diventare onorevole, né alla Salernitana per essere promossa; due anni dopo Iapicca lasciò la Salernitana alla Fisa (cordata di imprenditori salernitani capeggiata dal cavaliere Antonio Amato, presidente Augusto Strianese), dopo un’estenuante trattativa, al solito favorita dalla politica locale corsa al capezzale dopo aver somministrato alla paziente la terapia sbagliata. E negli anni – era successo altre volte pure prima dell’83 – altri passaggi, altre influenze, altri interessi. Ingerenze, intrecci. A volte anche solo elemosine e prebende.

Ad esempio la marcatura a uomo e il pressing ossessivo dell’allora ministro socialista Carmelo Conte su Giuseppe Soglia, iniziati nell’anno della promozione, culminati nell’anno di serie B chiuso in maniera disgraziata e terminati solo quando, con un colpo di teatro, la società passò al gruppo Casillo e la doppia cordata del ministro restò penzolante. E come dimenticare i duelli De Luca-Aliberti? La guerra, poi la pace, poi di nuovo la guerra. Bastava premere il tasto giusto del telecomando tv per avere il resoconto sullo stato dei rapporti. Rapporti che nel 2005 sarebbero culminati con l’esclusione della Salernitana dai campionati professionistici: un bilancio societario in rosso certo ma pure un bilancio extra-calcistico di nuovi rapporti e interessi. E poi il sindaco Mario De Biase – il sindaco napoletano che tre anni prima proprio sulle scale di Palazzo di Città saltellava pure lui come i tifosi al grido “chi non salta napoletano è” nel giorno della presentazione di Zeman – che affidava grazie al “Lodo Petrucci” la Salernitana Calcio al gruppo di costruttori capeggiati da Antonio Lombardi (in questo caso i tasti del telecomando tv passarono a due, anzi a volte pure tre), cinque anni dopo anche lui fallito dopo un altro pacchiano e malsano matrimonio di interessi. Da una parte e dall’altra: progetti, interessi, consenso e cantieri più che programmazione sportiva e Salernitana nel caso specifico. Nove anni fa la nuova e ultima ripartenza, inaugurata proprio a Palazzo di Città in uno scambio di amorosi sensi, immortalati da una foto al tempo non digitale ma ancora solo di carta: Vincenzo De Luca al centro, Mezzaroma e Lotito ai due lati. Lati di un unico e comune recinto. Nove anni di alti e di bassi, di stilettate e parole al miele. Come quelle di adesso, un anno dopo il punto più basso.

Davanti a Palazzo di Città – tutti e tre con mascherina d’ordinanza – Mezzaroma, Napoli e Caramanno hanno parlato di una nuova fase, di una rinnovata ripartenza. Magari chissà, stavolta sarà la volta buona: magari ognuno se ne starà nel proprio recinto. La proprietà che s’occupa e che si preoccupa di gestire la società – la società è una proprietà privata – così come una moderna azienda sportiva dovrebbe fare come mission: senza chiedere e chiedersi, senza aspettare e senza aspettarsi. Rispondendo cioè sul campo. E l’amministrazione comunale che si occupa e si preoccupa di sciogliere i nodi asfissianti che stanno soffocando la città, rispondendo anche lei cioè sul campo, non solo illuminando di granata la facciata di Palazzo di Città. «Abbiamo cercato di fare il massimo, di colorare il Comune il più granata possibile», così ha detto l’assessore Caramanno mentre Napoli lo interpretava «come un segnale di rinascita». E magari, col restyling del Vestuti in sottofondo, Mezzaroma invece a lodare, alla stregua della rèclame di George Clooney, la celebre “What else? che in italiano fa: cos’altro? «Salerno è una città all’avanguardia perché ci sono più opere di archistar, un terreno fertile per fare proposte serie e compatibili con l’ambiente e col contesto urbano. Se non qua, dove?». Così, una tintura di facciata come se fosse il massimo dello sforzo: che l’amministrazione si occupi piuttosto di economia, lavoro, turismo, infrastrutture e magari sì, persino di strutture sportive. Perchè è vero, in classifica la Salernitana galleggia da sei anni, questa stagione staziona ai limiti della zona playoff. Salerno da troppi anni è invece in fondo alla classifica delle città capoluogo di provincia per impiantistica sportiva. Non basterebbe un elenco di promesse e d’incompiute (a mo’ di esempio, il palazzetto dello sport doveva essere consegnato nel 2008 e un po’ di tempo fa nella boscaglia indecente fu ritrovata cadavere una povera donna) per dimostrare che sia adagiata in un’umiliante e comatosa zona retrocessione. “Fatti non parole” è uno slogan abusato. Varrebbe e vale per la Salernitana come per gli amministratori locali e per i loro numi tutelari politici, di qualsiasi colore. Se proprio non ci riescono, che dirigenti, amministratori e politici gettino almeno le maschere. Anzi, le doppie mascherine.

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