Facile profeta, il presidente del Coni Giovanni Malagò l’aveva pronosticato lungo, il percorso: dalle urne alla giustizia sportiva, sino al giudizio della magistratura amministrativa. Una valanga di ricorsi e sentenze, altro che una semplice discesa con gli sci, la battaglia nata dopo la rielezione di Flavio Roda al quarto mandato consecutivo e poi acuitasi con una serie di ricorsi presentati dagli sfidanti e sconfitti (il 15 ottobre 2022) Maldifassi, Dalpez e Falez. «Io penso che qualsiasi cosa succeda, questa storia finirà al Tar. E dopo il Tar finirà al Consiglio di Stato»: così qualche giorno dopo la (ri)elezione di Roda alla presidenza della Federsci. Era l’autunno del 2022. Diciotto mesi dopo, dopo i giudizi del tribunale federale, della corte federale e del Collegio di Garanzia dello Sport presso il Coni, è arrivato proprio ieri anche il punto messo dalla giustizia amministrativa: la sezione Prima Ter del Tar Lazio ha ritenuto inammissibile il ricorso presentato da Maldifassi per l’annullamento dell’elezione di Roda e infondato invece quello proposto contro la decisione del Collegio di Garanzia dello Sport presso il Coni che aveva invece ritenuto legittima l’ammissione della candidatura di Roda come presidente della Federazione italiana sport invernali (FISI), confermando così il giudizio espresso nelle precedenti sentenze della giustizia sportiva.
A far pendere l’ago della bilancia in favore di Roda sostanzialmente è stata un’eccezione rilevata dal difensore del Coni, chiamato in giudizio nella controversia: l’avvocato Avilio Presutti (nel recente passato parte, con l’avvocato Marco Laudani, del collegio difensivo del dt della Ginnastica Emanuela Maccarani e dell’ex presidente AIA Alfredo Trentalange) aveva infatti eccepito come Stefano Maldifassi non avesse impugnato per tempo la proclamazione degli eletti ma soltanto l’atto di ammissione all’assemblea elettiva, una mancanza decisiva ai fini del giudizio secondo il collegio della sezione Prima Ter del Tar Lazio, presieduto dal magistrato Francesco Arzillo e collegio completato dall’estensore Silvia Simone e da Giovanni Mercone. “Il ricorso contro la candidatura di Roda è improcedibile per difetto di interesse, attesa la mancata impugnazione da parte di Maldifassi del risultato elettorale e tenuto conto che l’invalidità della candidatura non si trasmetterebbe automaticamente all’elezione”. Così il difensore del Coni, l’avvocato Presutti. Eccezione poi ripresa e avanzata anche dal collegio difensivo della FISI composto dagli avvocati Enrico Lubrano e Giovanni Diotallevi. In sostanza una mossa sbagliata, un passaggio praticamente a vuoto, del ricorrente Maldifassi che pure aveva ragioni da vendere.
Maldifassi, risultato secondo nel risultato elettorale, nell’autunno 2022 aveva proposto ricorso perché Roda era stato eletto presidente ottenendo così il suo quarto mandato consecutivo ritenendo l’elezione (e prima ancora, la sua candidatura) illegittima perché contrastante col dettato della legge 8 del 2018 (legge Lotti) che prevedeva come il limite massimo dei mandati fosse fissato a tre ed “essendo irrilevante la durata del mandato, dovendo computarsi tutti i mandati nel calcolo del limite massimo di tre”. Secondo la tesi avanzata da Roda e dalla FISI, invece, bisognava rilevare come le norme, i regolamenti e i principi fondamentali dello Statuto facessero riferimento a “mandati interi e quadriennali”. Questo perché il primo mandato di Roda era stato parziale: era stato assunto e assolto da Roda cioè (nel quadriennio olimpico 2010/2014) dopo l’annullamento dell’assemblea elettiva del 2010 e del successivo commissariamento della FISI, e quindi una presidenza durata due anni e dieci mesi. Non un mandato intero, non un quadriennio pieno, insomma. Nel corso dei diversi giudizi, la difesa del Coni ha rilevato come “il ricorrente Roda avesse impugnato il risultato delle elezioni dinanzi al Tar, violando il principio della pregiudiziale sportiva e, dunque, come il ricorso fosse inammissibile perché mancante di una valida impugnazione preliminare dinanzi alla giustizia sportiva e che quindi, il risultato elettorale fosse divenuto inoppugnabile. E ancora: l’eventuale annullamento della lista dei candidati, atto validamente impugnato, non aveva alcuna efficacia caducante sul risultato elettorale”.
In sede di replica, poi, ha appunto rilevato come il ricorso contro la candidatura di Roda fosse improcedibile per difetto di interesse, vista la mancata impugnazione di Maldifassi del risultato elettorale e tenuto conto che l’invalidità della candidatura non si trasmetterebbe automaticamente alla elezione. Stessa linea adottata poi dal collegio difensivo della FISI.
Ecco quindi come la questione è stata valutata dal collegio del Tar Lazio: “Il Collegio ritiene che la mancata preliminare proposizione del ricorso avverso le elezioni di Roda a presidente della FISI dinanzi ai competenti organi della giustizia sportiva, eventualmente con motivi aggiunti nell’ambito del giudizio instaurato avverso la decisione del Collegio di Giustizia sportiva sulla candidatura dello stesso, violi il principio della pregiudiziale sportiva e comporti l’inammissibilità del ricorso contro l’elezione di Roda…. Quanto invece al secondo ricorso, Maldifassi avrebbe dovuto comunque impugnare le disposizioni regolamentari lesive dinanzi alla giustizia sportiva, cosa che non ha fatto. Il regolamento organizzativo della Federazione e lo Statuto FISI non hanno contenuto difforme dalla normativa primaria, nei quali sono specificati i termini interi e quattro anni. In punto di fatto, nel caso di Roda appare non irrelevante la circostanza che uno dei mandati ricoperti non abbia avuto una durata quadriennale ma si sia limitato a due anni e dieci mesi”.
Doppia bocciatura per Maldifassi dunque, che pure aveva ragioni da sostenere: la mancata eccezione nei tempi previsti del risultato elettorale gli è stata però fatale. Roda resta quindi saldo in sella alla Federsci: il punto adesso lo ha messo anche il Tar. Facile pensare che i ricorsi ora arrivino dinanzi al Consiglio di Stato. In fondo, Malagò lo aveva previsto…
Al di là degli sviluppi futuri, c’è da notare come la sentenza presa dal Tar sia molto interessante perché è la prima volta che viene applicato il principio sancito dalla Corte Costituzionale con la decisione n. 184/2023 per il quale, in materia di elezione di amministratori di soggetti collettivi che comunque si occupano di aspetti rilevanti anche per il diritto pubblico, il legislatore (come era avvenuto con la Legge Lotti) non può porre divieti assoluti ed orizzontali alla rielezione. Il principio sancito dalla Corte Costituzionale, e applicato dal Tar, è importante perché di questo si discuterà certamente anche a valle, nelle prossime elezioni delle Federazioni sportive. Sicuramente, infatti, non mancheranno i ricorsi dei non eletti o, ancor prima, nei confronti delle liste dei candidati, ricorsi nei quali verrà contestato il quorum del 66,6% per la rielezione dei presidenti dopo il terzo mandato. Chi dovesse perdere la partita (si pensi ad esempio alla sfida Valori–Petrucci nel caso della FIP, o alle sfide per Federgolf, Federnuoto, Federtennis e altre) potrà sostenere che il limite del 66,6% non è sufficiente al ricambio perché l’uscente potrebbe facilmente gestire la Federazione in modo “da farsi molti amici”, ovvero l’altra parte potrà dire che il limite del 66,6% (quindi una maggioranza particolarmente qualificata) è totalmente illogico perché il newcomer (il nuovo arrivato) può essere eletto anche con la maggioranza di un solo voto e invece chi ha dimostrato di saper bene amministrare per anni possa essere facilmente vittima di “complotti, gelosie e congiure”.