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Basket, il caso del progetto “Diritti a canestro”. Da Unicef Italia a Frascati con la benedizione di Fip e Coni agli annunci di lavoro su facebook

"Cercasi educatori h24 per minorenni": un singolare post riporta sotto la luce dei riflettori un'iniziativa nata per l'integrazione e l'inclusione di ragazze in situazione di vulnerabilità. Il ruolo del dg di Unicef Italia che è anche allenatore della società Cbf Frascati
La conferenza stampa di "Diritti a canestro"

Il 31 agosto scorso su una popolare pagina facebook dell’area di Roma, dedicata ad offerte e richieste di personale, appare un annuncio piuttosto singolare (qui il link all’annuncio; annuncio visibile fino al giorno 11 settembre, perchè dal 12 andando al link compare la scritta: “questo contenuto non è al momento disponibile”, si rimanda a fine testo per le due versioni, quella con annuncio e quella …vuota..). Un annuncio singolare, sin dal primo rigo, nel quale l’inserzionista, tale Manuel Monetti, specifica che il lavoro offerto è, testuale, “24h su 24h”. Caspita! Che contratto di lavoro si applica? Ci sarà almeno una pausa pipì o sigaretta? Ferie? Festività? Vabbè, un lavoro è un lavoro, coi tempi che corrono poi… Andiamo avanti. In cambio di questo impegno totale si offre “vitto, alloggio, stipendio, mezzo per guidare”. Beh, pagano pure, che vuoi di più! Ma in cosa consiste questo lavoro? È qui che la cosa si fa interessante: l’inserzionista cerca una coppia, un uomo e una donna, che si occupino a tempo pieno di 7-8 ragazze di età compresa tra i 13 e i 18 anni, che sono a Roma per un progetto di sport e studio: la mattina vanno a scuola e nel pomeriggio si allenano. In realtà dalla lettura dell’annuncio pare di capire che quello scolastico non sia l’impegno primario richiesto a queste giovani, che, testuale, “si allenano molte ore al giorno e nei ritagli di tempo devono studiare”.

Qual è il compito di questa coppia? Qui l’annuncio è esaustivo: “trasporti, educazione nella casa, cucinare, pulire casa, lavare..ecc. ecc”. Più nel dettaglio, la donna preparerà da mangiare e si occuperà delle pulizie della casa in cui vivono le ragazze, mentre l’uomo, oltre a dare una mano in casa, gestirà gli spostamenti: casa-scuola-campo di allenamento-casa, utilizzando a tal fine un pulmino a nove posti messo a disposizione della società. L’inserzionista precisa, con grande magnanimità, che “la benzina è pagata da noi”. Vi chiederete: quali requisiti deve avere questa coppia chiamata ad occuparsi di un gruppo di adolescenti provenienti dall’estero e che si stanno inserendo nel contesto sociale, scolastico e sportivo italiano? Formazione psico-pedagogica, comprovata esperienza nell’attività con i minori e nella mediazione culturale e linguistica nei confronti di queste giovani, specie se provenienti da contesti di povertà e guerre? Nulla di tutto ciò: alla coppia di stakanovisti h24 che si aggiudicherà il lavoro vengono richiesti la patente, il permesso di soggiorno, e la conoscenza della lingua italiana. Null’altro.

Nelle ultime righe finalmente l’inserzionista si presenta: “Siamo una delle società di Basket più importanti nel Lazio e collaboriamo con un grande ente mondiale che aiuta i bambini e ragazzi di tutto il mondo”.

Togliamo al lettore l’incombenza di indagare: la società di basket in questione è il Club Basket Frascati (d’ora in avanti per brevità CBF). Manuel Monetti, l’estensore dell’annuncio, è il responsabile del settore femminile della società dei Castelli Romani, nonché figlio di Fernando Monetti, presidente e dominus di CBF. L’Ente mondiale che aiuta i bambini e i ragazzi in tutto il mondo, e che collabora con CBF in questo progetto (molto) sportivo e (poco) scolastico, è invece l’Unicef, o per meglio dire Unicef Italia.

Diritti a canestro. A questo punto è necessario riavvolgere il nastro e tornare a qualche anno addietro, per l’esattezza a novembre 2019, quando Unicef Italia e CBF siglano un accordo di collaborazione per un progetto pilota denominato “diritti a canestro” (qui il comunicato stampa), nato su idea di CBF nell’ambito di un accordo quadro tra la Federazione Italiana Pallacanestro (Fip) e Unicef Italia. Obiettivo del progetto: l’integrazione di giovani di età compresa tra i 12 e i 14 anni attraverso la pratica della pallacanestro. La CBF sarebbe stata la sede di sperimentazione di un “percorso di inclusione sociale e scolastico attraverso l’accompagnamento nello studio e nell’inclusione familiare e realizzando progetti di inclusione sociale tramite attività sportive e la creazione di strutture ad hoc in aree svantaggiate del territorio italiano”. Il Covid però blocca tutto poche settimane dopo la firma dell’accordo, ma il progetto si rimette in moto il 13 settembre 2021 con una conferenza stampa svoltasi presso il Palazzetto dello sport di Frascati, di cui rimane ancora traccia sulla pagina facebook di CBF (qui), alla quale prendono parte per CBF Fernando Monetti, per Unicef Italia il direttore generale Paolo Rozera, per la Fip invece, in rappresentanza del presidente Gianni Petrucci, il compianto vicepresidente vicario Gaetano La Guardia e il presidente del comitato regionale del Lazio, Stefano Persichelli. All’evento prendono parte, con interventi da remoto, anche il presidente del Coni Giovanni Malagò ed il giocatore della nazionale Stefano Tonut, chiamato a fare da testimonial dell’iniziativa. Il comunicato stampa apparso sul sito Unicef Italia (qui) fornisce qualche dettaglio in più sull’iniziativa: anzitutto si aggiungono a Unicef, FIP e CBF altri partner, e precisamente il Coni e l’Università Tor Vergata. Inoltre si precisa che il “percorso sperimentale educativo, sportivo e sociale per giovani in situazione di vulnerabilità”, una volta conclusa la fase di sperimentazione presso CBF, verrà esteso con la creazione di un network nazionale per diffondere il modello di percorso educativo-sportivo.

Cosa è avvenuto in concreto? A partire dalla stagione 2021-22, sono stati tesserati da CBF e hanno partecipato ai campionati giovanili della FIP un buon numero di ragazzi e soprattutto di ragazze provenienti dall’estero: soprattutto dal Senegal, ma anche dal Camerun e, dopo lo scoppio della guerra nel febbraio 2022, dall’Ucraina. Ragazzi sottratti a situazioni difficili di guerra e povertà che hanno potuto coltivare il sogno di studiare, conoscere una nuova cultura, giocare a basket. Due ragazze senegalesi formatesi nell’ambito di questo progetto giocheranno quest’anno in serie A2 femminile, a Empoli e La Spezia, altre promettono bene per i prossimi anni. Anche CBF ha beneficiato di questa possibilità, collocando stabilmente negli ultimi due-tre anni le proprie formazioni femminili tra le migliori del Lazio, con qualche capatina anche alle finali nazionali.

Un bilancio? Quella che inizia in questi giorni è la quarta stagione del progetto “Diritti a canestro”. Probabilmente è giunto il momento di abbozzare un bilancio dell’iniziativa: quante giovani sono state formate? Come e da chi sono state seguite nel loro percorso sportivo ed extrasportivo? Che risultati (non solo sportivi) hanno conseguito? Come è stato strutturato il progetto educativo? Esistono dei protocolli consolidati? Chi controlla chi? Qual è l’apporto (operativo ed economico) di Unicef Italia a questo progetto? Quale l’apporto di CBF? Rispondere a queste domande, a nostro avviso, è un obbligo di trasparenza vista la reputazione di Unicef, ed è doveroso anche nei confronti di tutto il movimento cestistico italiano, dato che l’iniziativa si colloca all’interno di un accordo quadro tra FIP e Unicef Italia.

Ma un bilancio di questi primi tre anni di “diritti a canestro” va fatto anche perché, come è stato specificato sin dal suo esordio, si tratta di un progetto pilota con il quale, ed usiamo le parole esatte del comunicato stampa di Unicef Italia dell’11 settembre 2021, “Una volta conclusa la fase sperimentale, si punta a creare un network nazionale, per diffondere il modello di percorso educativo-sportivo”. Conclusa la fase sperimentale e consolidato un modello di riferimento, Unicef potrebbe quindi mettere a bando ogni anno un numero variabile di “borse di studio e sport” per studentesse-atlete provenienti da situazioni di povertà o guerra, con la chiara e trasparente indicazione degli obblighi, dei protocolli operativi da seguire, dei risultati minimi da ottenere, e ovviamente dei costi e delle modalità di finanziamento. Ogni società giovanile d’Italia dovrebbe poter partecipare a questi bandi, in modo tale che Unicef potrebbe assegnare le borsiste alle società in grado di offrire loro il miglior contesto sportivo, formativo e umano.

Curiosità. Forse ci siamo spinti troppo oltre, ci siamo messi a volare con la fantasia, ma ci siamo sentiti autorizzati a farlo dal coinvolgimento in questo progetto di una organizzazione dall’immagine specchiata come Unicef Italia. E però l’annuncio di CBF apparso su facebook, lo diciamo francamente, lascia immaginare un quadro di tutt’altra natura, nel quale a ragazze minorenni arrivate in Italia da contesti difficili si richiede in sostanza di allenarsi, allenarsi, allenarsi, e di studiare “nei ritagli di tempo”; ragazze che, perdipiù, potrebbero essere affidate per 24 ore al giorno ad “educatori” nel cui curriculum professionale sono presenti soltanto la patente B, il permesso di soggiorno e la conoscenza dell’italiano. Il tutto, lo ricordiamo en passant, nell’anno in cui la Fip ha pienamente implementato la riforma del lavoro sportivo, che impone la contrattualizzazione delle figure professionali che operano all’interno delle società di basket, ed ha adottato un rigido protocollo di safeguarding, con l’obbligo per ogni società di nominare un responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni, a tutela soprattutto degli atleti minori. Insomma, bisogna decidersi: siamo in presenza di un progetto di ampio respiro, nel quale lo sport è lo strumento con il quale Unicef e il movimento cestistico italiano favoriscono l’integrazione di minori con un vissuto di violenza, povertà, guerra? Oppure ci troviamo davanti ad un accordo di piccolo cabotaggio con il quale Unicef individua come referente per il percorso di inclusione delle giovani una società, una soltanto, scelta sulla base di non si sa quali requisiti?

Per aiutarci a rispondere a questa domanda, si segnala un particolare forse da non trascurare, che riguarda il già citato direttore generale di Unicef Italia Paolo Rozera, il quale nel suo curriculum (qui) si premura di far sapere di essere un appassionato di basket: arbitro dal 2009 al 2017, allenatore dal 2018. E per quale società Rozera svolge l’attività di allenatore di basket? Avete indovinato: sì, proprio per il Club Basket Frascati! Paolo Rozera allena infatti ininterrottamente dal 2019 a tutt’oggi gruppi giovanili della società di patron Monetti e di società ad essa collegate come CBF Sporting Monteporzio (vedi qui, qui, qui, qui). Il 1 agosto scorso un post sulla pagina facebook di CBF informava (qui) che nella stagione sportiva 2024-25 coach Rozera allenerà ben due squadre, una senior e una Under 19.

Ovviamente non è dato sapere se l’attività di coach Rozera viene svolta dietro compenso (crediamo di no), ma non è questo il punto: che sia retribuito o meno, non è quanto meno inopportuno che il direttore generale di Unicef Italia svolga attività per una società sportiva con la quale l’Ente da lui diretto ha in essere un progetto di collaborazione che prevede il controllo e – immaginiamo – il finanziamento dell’attività svolta dalla società? Coach Rozera è al corrente delle modalità singolari con le quali CBF cerca i collaboratori che devono portare avanti il progetto “diritti a canestro”? Cosa ne pensa Unicef Italia, la sua presidente Carmela Pace e il consiglio direttivo del quale fanno parte tra gli altri personaggi come Brunello Cucinelli, Ginevra Elkann, Giovanni Malagò, Walter Veltroni? Cosa ne pensa il Coni e il suo presidente Giovanni Malagò? Cosa ne pensa la Fip, il presidente federale Giovanni Petrucci e il presidente del comitato regionale laziale Stefano Persichelli? Si attendono risposte.

Ps: qui le due versioni, quella dell’annuncio visibile fino all’11 settembre, e quella vuota dal 12 settembre.

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