È un ricordo che si tinge d’azzurro. Un azzurro vero, intenso. Indimenticabile. Come quel giorno. È come il colore del cielo in un tardo pomeriggio di quasi estate, è il colore della maglia della nazionale italiana di calcio. In Italia sono passate da poco le ore 19. È il 2 giugno 1978, è la festa della Repubblica, celebrata senza fanfare perché Roma e tutta l’Italia sono ancore sgomente. Ventiquattro giorni prima in una via del centro della capitale, all’angolo tra Botteghe Oscure e la sede della Democrazia Cristiana, hanno ritrovato un cadavere nel bagagliaio di una Renault 4 rossa. La via si chiama Caetani, il corpo coperto da una coperta nell’auto è quello di Aldo Moro, il presidente della Dc sequestrato dalle Brigate Rosse dopo un bagno di sangue – trucidati i cinque uomini della scorta in via Fani – quasi due mesi prima.
In quello stesso giorno il commissario tecnico della Nazionale Enzo Bearzot ha diramato le convocazioni per il Mondiale d’Argentina; nella lista c’è anche Paolo Rossi, esile e gracilino ha segnato 24 gol nel Lanerossi Vicenza che ha chiuso in campionato dietro solo alla Juventus, quell’ex ala destra reduce da infortuni e menischi s’è rivelata invece a ventidue anni centravanti spietato per tempismo e fiuto del gol. Spinto da Cerilli, Salvi e Filippi e quei volti – con tanto di basette e capelli lunghi – sulle figurine dell’album Panini mica si dimenticano, è diventato come un quadro di Picasso messo all’asta. A Milano si scatena l’asta per accaparrarselo: il prezzo del cartellino sale sino all’astronomica cifra di 5 miliardi: il presidente veneto Giussy Farina il giorno prima delle fatidiche buste (così all’epoca si risolvevano le comproprietà) ha ricevuto una soffiata (“se metti due miliardi e seicento, Rossi è tuo”) scrive 2 miliardi 615 milioni e 510 mila lire mentre il presidente della Juventus Giampiero Boniperti si ferma a 875 milioni di lire. È così che il piccolo Vicenza strappa Paolo Rossi alla Juventus: il valore del cartellino che supera i 5 miliardi di lire. Mai successo prima che per un calciatore si pagasse tanto, così tanto mentre l’Italia è un Paese economicamente in ginocchio e la Fiat (proprietaria della Juve) ha messo migliaia e migliaia di lavoratori in cassa integrazione. Quella somma per Paolo Rossi è più di quanto il “Paul Getty Museum” di Malibu abbia speso per comprare un Van Gogh, un Renoir, un Cezanne e un Matisse. Il presidente della Lega Franco Carraro si dimette, farà presto però a trovare un nuovo impiego. Diventerà in quell’estate rovente il presidente del Coni dopo una lunga battaglia di ricorsi che ha visto cadere Onesti, da 32 presidente del Comitato Olimpico nazionale.
Paolo Rossi è lontano da quel trambusto che s’è acceso al calcio-mercato, è volato in Argentina. È volato già con quel soprannome che lo accompagnerà per sempre, indimenticabile e indimenticato: Pablito. Quel soprannome glielo ha dato Giorgio Lago, capo dei servizi sportivi del “Gazzettino” in aereo un anno prima, l’Italia rientrava dalla sfida alla Spagna giocata al Bernabeu, Italia sconfitta ma titoli e complimenti a Paolo Rossi, persino il ct delle furie rosse, il leggendario Lazlo Kubala, s’è speso per lui: “Me gustò muchissimo Paolo Rossi”. Un anno dopo si spalancano le porte del Mondiale: è lì che si gioca il Mondiale, nell’Argentina del generale Videla e della giunta militare, stampa e tv oscurano (si scoprirà poi che il primo quotidiano italiano è controllato dalla P2), coprono la realtà: c’è da raccontare un Mondiale, dei desaparecidos non v’è (quasi) traccia nel racconto della stampa italiana.
L’Italia veste d’azzurro, e quella maglia è azzurra davvero. È bella, bellissima, i numeri dietro la maglia sono (ancora) senza nome, sono grandi e sono bianchi. Paolo Rossi indossa il 21, gioca titolare, ha sfilato il posto al centravanti del Torino, il generoso Ciccio Graziani, l’altro gemello del gol Paolino Pulici sta in panchina. È il 2 giugno, si gioca contro la Francia, e si mette subito male. Nemmeno il tempo di sedersi, nemmeno il tempo che Nando Martellini completi ai microfoni Rai la lettura delle formazioni, che il piccolo Lacombe ha già trafitto di testa Dino Zoff dopo la volata di Six. 0-1, sono passati appena quaranta secondi e la partita, trasmessa dalla Rai a colori, sembra trasformarsi subito in buio pesto. È la prima gara del girone eliminatorio – poi ci sarà l’Ungheria, poi i padroni di casa dell’Argentina – e sembra già tutto in salita. Però l’Italia di Enzo Bearzot gioca bene, gioca un calcio sublime: in quel Mondiale sciorinerà il calcio più bello. Veloce, semplice, spumeggiante. Sfiora per tre volte il gol del pari, pur se anche i francesi vadano vicini al raddoppio. Causio è indemoniato, dall’altra parte il debuttante Cabrini è inarrestabile. Il gol pare nell’aria: a Mar de Plata fa freddo ma lo stadio è pieno d’italiani, i milioni d’italiani davanti alla tv all’improvviso sussultano, strabuzzano gli occhi. Quel pallone è come la pallina di un flipper impazzito: quel pallone rimbalza prima sulla traversa poi torna indietro, sembra non voglia entrare. Causio colpisce la traversa, la palla rimbalza sul prato, Tardelli va per la comoda ribattuta però il pallone incoccia su Causio che fa da stopper nemmeno fosse Bossis. Quella palla rimbalza nell’area piccola, è come se stesse aspettando di essere catturata da un falco. E il falco è lì, ad un passo. È Paolo Rossi che piomba all’improvviso, lesto si lancia su quella palla e la butta in porta.
È il minuto 29’, è il gol del pareggio, è il primo gol di Paolo Rossi in un Mondiale, è il giorno in cui diventerà – e per sempre resterà – Pablito. La Francia ripresa e poi battuta da un gol di Zaccarelli nella ripresa: l’avvio di un Mondiale esaltante. Rossi che stende l’Ungheria, l’Italia che batte l’Argentina con un gol di Bettega al termine di una triangolazione che resta negli occhi. Come gli occhi persi di Zoff, battuto per due volte dai siluri siderali degli olandesi in semifinale, come quelli con cui il Brasile sfilerà il terzo posto all’Italia nei Mondiali argentini vinti dall’Argentina, scippati all’Olanda in finale. Il 2 giugno 1978 arrivò il primo gol di Paolo Rossi ai Mondiali, quattro anni dopo il redidivo Pablito ne segnerà sei trascinando l’Italia alla vittoria del Mundial di Spagna. Un’altra pagina indimenticabile. La prima in azzurro riporta una data, il primo gol di Rossi in un Mondiale: 2 giugno 1978. Accanto a quella data resta una formazione, che si ricorda ancora e sempre memoria. Zoff, Gentile, Cabrini; Benetti, Bellugi, Scirea; Causio, Tardelli, Rossi, Antognoni (46’ Zaccarelli), Bettega. Allenatore: Enzo Bearzot.