“Carta, penna e calamaio: via con il test”. Giusto quaranta anni fa Emilio Fede iniziava così ogni puntata di un quiz su RaiUno nato per fare concorrenza al SuperFlash di Mike Bongiorno su Canale 5, il quiz si chiamava Test ed ebbe pure discreto successo. Carta penna e calcolatrice, via con i conti, ma i conti pare non tornino: in questi giorni li hanno fatti e l’hanno scoperto alcuni presidenti di Lega Pro, decisi adesso a sottoporre il presidente Matteo Marani al test e al calcolo nell’assemblea convocata mercoledì a Firenze per l’approvazione del bilancio preventivo 2023/24, l’approvazione del consuntivo 2022/23, l’elezione di un consigliere nel direttivo e l’approvazione dei criteri di ripartizione dei diritti tv. Nel corposo ordine del giorno però mancano due punti, due punti che sono ossigeno per la vita e la rappresentanza della terza lega calcistica italiana in questi mesi attraversata da terremoti, veleni e ricorsi. Ad esempio. La sfiducia a Francesco Ghirelli costretto alle dimissioni dopo le frizioni col presidente federale ed ex sodale Gabriele Gravina. La velenosa campagna elettorale col candidato praticamente unico (il reggente Marcel Vulpis lasciato a piedi dal presidente federale) che ha portato all’elezione del candidato scelto dal presidente della Federcalcio. Le frizioni tra il neo presidente Marani, Gravina e il braccio destro di Gravina e cioè l’avvocato Giancarlo Viglione su norme, statuto (cambi e applicazione) e seconde squadre. Il sospetto coltivato in via Allegri di collaborazionismo tra il neo presidente e la Lega serie A. L’inserimento di un nuovo dirigente apicale – nome (Paolo Bedin, per lui prima tre mesi da consulente e poi porte aperte) caldeggiato da Gravina e dal ministro Abodi – che ha ripristinato la carica di dg abolita, che ha raddoppiato i costi e che cozza con le mansioni del segretario generale Paolucci. L’ennesima estate piena di ricorsi dei club accompagnata dall’abituale rinvio dell’inizio del campionato: 12 club col destino sospeso da giugno a inizio settembre. La battaglia a colpi di ricorsi e giudizi sportivi e amministrativi per un posto di consigliere federale in rappresentanza della Lega Pro.
Mutualità. I soldi sono pochi e i conti non tornano. I soldi sono pochi e non sarebbero divisi con equità tra i 60 club. I soldi sono pochi e non esisterebbe un criterio legittimo, logico, condiviso, equo, che li ripartisca. I soldi sono pochi e il regolamento è contraddittorio. In Lega Pro è tutto come un quiz, quiz irrisolto che ha prima incuriosito e poi fatto infuriare parecchi presidenti di club. Alcuni sono sul piede di guerra, decisi a chiedere il conto a Marani. Sul piede di guerra c’è di sicuro il patron del Perugia Massimiliano Santopadre, la Spal segue a ruota. I conti non tornano alle due retrocesse ma pare non tornino anche ad altre società, ad esempio Crotone, Monterosi, Torres. Fatto un rapido calcolo, qualche club perderebbe sino a 150mila euro di contribuzione annua, somma che incide in un bilancio societario, specie di C. Tutto ruota intorno alla contribuzione assegnata per il “minutaggio dei giovani” (da quest’anno è giovane calciatore chi è nato dal 2001 in poi) inserita nel più complesso quadro della mutualità.
La doppia mutualità. La mutualità è la benzina che tiene acceso il motore della Lega Pro (l’apertura di un tavolo di concertazione tra la Lega B di Balata che si è fatto “padrino” dell’iniziativa e la Lega serie A taglia ancora una volta fuori la terza serie, chissà Marani come l’avrà presa…), che le consente solo di respirare. C’è una mutualità di sistema e c’è poi quella disciplinata dalla Legge Melandri. La mutualità di sistema: quasi 7 milioni di euro arrivano dai club neo promossi in serie B che per tre anni devono girare una quota dei proventi alla Lega di Firenze che poi li ripartisce ai 60 club. La mutualità regolata dalla legge Melandri è invece la fetta principale della torta: circa 26 milioni di euro che arrivano dalla Lega di serie A sulla base dei ricavi dei diritti tv. Il 58% di questi 26 milioni di euro viene ripartito dalla Lega Pro in base al minutaggio dei giovani secondo alcuni criteri però. Alcuni legittimi, altri meno. Un (giovane) calciatore in prestito vale meno di un calciatore di proprietà. Un calciatore (giovane) formato nel proprio settore giovanile vale di più di uno formatosi nel settore giovanile di un altro club. Se una squadra in ogni partita non impiega per almeno 270’ giocatori giovani perde la quota a partita, se una squadra impiega giocatori in prestito da altri club di serie maggiore e per i quali incassa già il premio valorizzazione (spesso copre l’intero ingaggio) indipendentemente dalla bravura si prende “il minutaggio” mentre resta a bocca asciutta un club che magari ha uno o due giocatori (giovani) bravi che impiega per tutta la partita. Questi e altri sono i criteri di ripartizione che incidono profondamente nei bilanci dei club, questi e altri sono i criteri che la Lega Pro ha approvato anche per questa stagione confermando quelli della stagione trascorsa. La votazione è avvenuta a giugno, anche con i voti dei club neopromossi in B e senza il voto dei club retrocessi dalla cadetteria.
È uno dei punti sui quali intende battere ad esempio il Perugia di Santopadre che è come se dicesse: “Noi non c’eravamo quando è stato approvato questo criterio del regolamento, bisogna discuterne e rivederlo, rimetterlo ai voti”. Curiosamente, venerdì scorso, a cinque giorni dal voto in assemblea, il presidente Marani insieme al segretario generale Paolucci ha fatto visita al Perugia e al presidente Santopadre. Il motivo ufficiale della visita? Esplorare il mondo Perugia, far visita alle strutture del club tra sede, centro sportivo e museo, conoscerne le strategie future. Prima di rilasciare parole, foto e sorrisi affidati alla stampa con dichiarazioni ecumeniche, hanno però anche e soprattutto discusso di questo tema cruciale, Marani ha provato ad appianare i contrasti, a spiegare le ragioni e a smussare gli angoli. Il tour avrà ottenuto successo? Si vedrà in assemblea. Anche perché la posizione del club umbro non è isolata. Anche altri club hanno fatto i propri calcoli e ritengono che i criteri di ripartizione dell’80% della quota Melandri (26 milioni) debbano essere rivisti perché non aderenti alla meritoria strada scelta per la valorizzazione dei giovani. Una regola che pare diventata però solo l’ennesima scorciatoia per afferrare un po’ di quattrini e che incide non solo sui bilanci ma anche sulla qualità e sul valore del campionato. È come se un club, pur di prendersi il minutaggio, impieghi dei giovani per 270’ a partita indipendentemente dal valore mentre penalizza altri club che magari hanno meno giovani ma di maggior qualità. È troppo ampia la differenza tra i minuti effettivamente disputati e quelli riconosciuti per aver accesso alle risorse stanziate: mercoledì il nodo sarà sul tavolo di Marani pur senza essere all’ordine del giorno. Si annunciano scintille.
Le seconde squadre. A proposito di giovani. La questione delle seconde squadre tornerà a far capolino nell’assemblea di Lega Pro in mezzo ad una selva di conti, consulenze, esborsi: uscite da chiarire. Dal consuntivo si evince come ancora una volta il pareggio per la stagione 2022/23 sia stato ottenuto grazie all’iscrizione della Juventus Next Gen con il 1,2 milioni di euro versato dal club bianconero all’atto dell’iscrizione, incasso che viene trattenuto dalla Lega Pro per la gestione e non girato ai club iscritti. E lo si evince ancora di più dal preventivo di questa stagione: il bilancio segnala l’equilibrio grazie all’iscrizione dell’Atalanta under 23. La quota di iscrizione per le seconde squadre è scesa a 900mila euro, quindi con Juventus e Atalanta la quota è salita complessivamente (+600mila euro rispetto allo scorso anno) a 1,8 milioni di euro (previsto per l’anno prossimo un terzo arrivo, la previsione stimata è 2,5 milioni): somma iscritta a bilancio come entrata e che sostanzialmente pareggia l’uscita di una serie di oneri legati a consulenze, costi, servizi e altro ancora. Ciò significa che di fatto quasi tutti i costi per consulenze e servizi vari della passata gestione sono stati confermati, sebbene con un nome o un volto diverso: e anche qui ci sono club sul piede di guerra, che vogliono sapere, capire, rivedere. È un tema caldo che continua a non trovare posto in assemblea: continua a mancare un progetto, si ricorre all’inserimento delle seconde squadre di A solo in caso di “emergenza” per tappare i buchi dell’emorragia causata dai fallimenti, mancate ammissioni e rinunce (è accaduto quest’estate per l’Atalanta). L’argomento meriterebbe approfondimento, i riflessi sportivi e economici hanno un impatto notevole sulla categoria ma manca nell’ordine del giorno fissato per mercoledì prossimo.
Elezioni, buchi, vulnus e rappresentanza. All’ordine del giorno mancherà anche un altro punto dirimente, punto che ormai ha travalicato l’ambito sportivo per sconfinare in quello politico. Anche questo però farà capolino, molti club sono stanchi e sfibrati da silenzi lunghi e inspiegabili. Perché da cinque mesi la Lega Pro, come da norma, non ha un consigliere federale che la rappresenti in via Allegri. Fino a giugno, insieme a Marani e al consigliere Marino (Olbia) c’era Pasini, presidente della Feralpi Salò promossa poi in serie B. Con Marino, fu eletto nel corso dell’assemblea elettiva del 2021 ma la sua carica è decaduta a giugno 2023, quando cioè è salito di categoria col proprio club. Per la sostituzione si è scatenata una battaglia: il primo dei non eletti del 2021 è Salvatore Caiata, due anni fa presidente del Potenza, club che ha poi lasciato. Caiata è anche un onorevole che, dopo l’esperienza nei Cinquestelle, è stato rieletto alla Camera dei Deputati nelle fila di Fratelli d’Italia ed è quello che in questi giorni ha chiesto le dimissioni di Gravina dopo i tanti flop della gestione in via Allegri. Non corre buon sangue tra i due, entrambi si fronteggiano a colpi di ricorsi e carte bollate. In base a una norma dello Statuto, Caiata chiede che venga proclamato consigliere; in base a un’altra norma dello Statuto, la Federcalcio sostiene che invece bisogna indire nuove elezioni per riempire quel posto vacante nel consiglio federale. Tira e molla infinito: Caiata ha fatto ricorso al Tar e pensa al Consiglio di Stato, Gravina ha invece vinto la battaglia davanti al Tribunale federale Nazionale presieduto dall’avvocato Carlo Sica che ha ritenuto il ricorso di Caiata improcedibile e infondato e ha stabilito che bisogna indire una nuova e apposita tornata elettorale. Da Firenze la Lega Pro ha chiesto lumi alla Figc, ma da Roma ancora non è arrivata una risposta definitiva. Si temporeggia, si procede a tentoni tra veleni e malumori mentre desolatamente a carponi resta la Lega Pro: il posto resta vacante, privata la sua rappresentanza in Federcalcio, un vuoto che rappresenta un vulnus stridente. Un altro vuoto, meno importante, invece colmato: da cinque mesi la Lega Pro era senza anche un consigliere nel direttivo dopo l’addio del presidente Salerno che con la sua Reggiana è volato in serie B. Di solito per questo tipo di carica si procede(va) a consultazioni e candidature: stavolta invece niente, stavolta il posto è andato all’unico candidato, è l’ingegnere napoletano Bosco, presidente della Vis Pesaro.
Diritti tv, cariche e consulenze. In questo quadro a tinte opache almeno una flebile luce c’è. L’ha portata il presidente Matteo Marani, bravo davvero (è un sincero complimento) perché è riuscito dove nessun altro (compreso Gravina) era mai riuscito prima: ha chiuso con Sky (è stato direttore) un accordo biennale per la vendita centralizzata dei diritti audiovisivi. La cifra dei ricavi è il doppio di quella precedente: dai 35mila euro annui si è infatti passati adesso ai 70mila euro annui a società per il biennio 2023/25. Un taglio alle uscite Marani l’ha dato chiudendo il rapporto con “2MG”, l’advisor all’epoca scelto dall’allora presidente di Lega Pro Gravina che incideva per 470mila euro nel bilancio della Lega di Firenze: cassate anche altre consulenze come quella con Francesca Buttara ed eliminata anche un’altra pesante voce in uscita, quella prevista per la presenza nel “Comitato 4.0” con altre Leghe voluta da Ghirelli e che aveva fatto infuriare Malagò e Gravina. Il lavoro dell’advisor è stato internalizzato: se ne occupa infatti Paolo Bedin, l’ex dg della Lega serie B il cui nome mesi fa era stato caldeggiato dal ministro dello Sport Andrea Abodi con Gravina per un ingresso a Firenze. Dopo i tre mesi di consulenza (da aprile a giugno) il rapporto è stato ufficializzato con il ripristino di una mansione precedentemente abolita: Bedin è il nuovo dg della Lega Pro che però ha mantenuto in organico anche il segretario Emanuele Paolucci che sostanzialmente si occupava delle stesse materie. Un raddoppio di incarichi che ha prodotto (come da preventivo 2023/24) un aumento delle uscite alla voce compensi: tra Marani, Bedin e Paolucci si superano gli 800mila euro annui. Anche questo tema ha prodotto, e produce, domande senza finora risposte. Un quiz irrisolto. Penna, carta e calcolatrice: toccherà a Marani mercoledì superare quest’altro test.