Il fatidico giorno è finalmente arrivato. Domani alle ore 11.30 Gabriele Gravina taglierà il nastro all’assemblea straordinaria della Figc che all’ordine del giorno – dopo giorni, anzi mesi, di rimpalli, finte aperture, pressioni, veleni, riunioni, ricorsi e minacce – approverà alcune modifiche allo Statuto federale assecondando, ma questo secondo la visione del presidente federale e dei suoi alleati, i dettami imposti dall’emendamento a firma del vice-presidente della Camera dei Deputati Giorgio Mulè approvato nel Decreto Sport dalle Camere in pieno luglio e che in sostanza (verrebbe voglia di scrivere, in soldoni) dovrebbero riconoscere maggior peso e autonomia a chi tiene in piedi il carrozzone calcistico tricolore (cioè la serie A), modifiche che secondo sempre Gravina dovrebbero portare a un new deal pallonaro, «non lasciando in mano il calcio italiano a soggetti che non hanno visione e amore per il calcio» (frase estrapolata da un’intervista di metà ottobre al Messaggero Veneto).
Tre mesi e mezzo dopo 283 delegati al voto (i 20 club di A e B, i 57 di Lega Pro, i 99 dei Dilettanti e poi i 9 dell’Aia, e infine i 26 delegati di tecnici e i 52 dei giocatori) si ritroveranno così in un hotel di Fiumicino per votare (volto palese e procedura elettronica) le proposte contenute nei file presentati dalle varie componenti, secondo l’ordine cronologico di presentazione. Dunque, si passerà prima all’esame delle modifiche proposte (ormai arcinote) dalla Figc: se dovessero ottenere il 50% più uno dei voti, si renderebbe sterile e inutile l’esame sulle proposte alternative. E, dispiace togliere il velo di sorpresa e suspence al lettore, andrà proprio così. Salvo impensabili colpi di scena (anche i tentativi di mediazione sono andati falliti, primo tra tutti quello del ministro dello Sport, Andrea Abodi) passerà, magari tra qualche strale sì ma soprattutto con parecchie teste piegate e ripiegate, la proposta di Gravina cui serve soprattutto un’esibizione di forza e consenso per poter affrontare il presente e il futuro (personale) con minori preoccupazioni, mantenendo così l’occupazione della stanza al quarto piano di via Allegri, in questi giorni insidiata anche dai ritorni sulla vicenda giudiziaria che lo vede indagato per appropriazione indebita e autoriciclaggio dalla Procura di Roma: il 4 novembre aveva fissato l’assemblea elettiva che avrebbe dovuto portarlo per la terza volta sulla poltrona di presidente federale, data rinviata dopo l’altolà del ministro Abodi e l’intervento della maggioranza di governo meloniana; il 4 novembre (nel calendario è il Giorno dell’Unità Nazionale e la festa delle Forze Armate) modificato così nel passaggio obbligato per arrivare poi alla convocazione dell’assemblea elettiva che dovrebbe essere convocata subito dopo questo passaggio formale.
Un passaggio formale già, e non certo epocale. Perché dal voto (e dal confronto…) di domani non uscirà nulla di epocale, il calcio italiano a Fiumicino resterà a terra, altro che decollo. A dispetto di quanto detto e promesso da Gravina, che in fondo quel termine epocale lo utilizza da anni. Basterebbe digitare insieme le parole “epocale e Gravina” sui motori di ricerca del web per trovare una sfilza infinita: si parte dal gennaio 2019 («care Leghe di A, B e Lega Pro, con questo format siete autonome e vi potete autodeterminare, cominciate a produrre un progetto di riforma del calcio italiano») quando in consiglio federale fu approvata la modifica all’articolo 49 delle Noif, una modifica definita dal presidente Figc, «una modifica epocale, quella che per anni la Figc ha tentato di fare») fino ai giorni nostri, fino cioè al 28 ottobre 2024 quando, al termine del consiglio federale, ha pronunciato solenne, «il riconoscimento dell’autonomia della Lega A credo sia un fatto epocale, che va al di là di quello consentito alla serie A. Siamo andati oltre la Premier e non è previsto in nessun provvedimento di legge» (frase battuta dall’agenzia Adnkronos).
Nulla di epocale. Innanzitutto perché – sia nelle proposte Figc che in quelle delle altre componenti (ovviamente il peso maggiore delle proposte starebbe in quelle della Lega A, che chiede il 30% di peso e 6 consiglieri, area prof al 46% a discapito dei Dilettanti che scenderebbero al 24%, e chiede anche che in caso di conflitti tra Lega e Figc su licenze e altro non si mantenga l’attuale status quo…) – non c’è altro che una mera questione di numeri e di percentuali: certo, compaiono anche temi e parole come autonomia, veto, intesa, funzionale, gestionale, ma sembrano (sono) solo orpelli, come fiori finti da esporre in un salotto d’epoca antica. E poi, perché nulla di epocale potrebbe mai uscire, visto che si procederà (e voterà) secondo i rapporti di peso e forza preesistenti, cioè proprio su quelli per cui il decreto Sport e l’emendamento Mulè erano invece intervenuti a piedi uniti in estate. Chiedersi allora: ma perché questa recita, perché tutto quest’altro tempo – da luglio a oggi – passato inutilmente a scambiarsi formalmente bozze, proposte e pareri ma sostanzialmente trascorso a lanciarsi solo invettive, agguati e veleni?
Più che un’assemblea, pare un’adunata. Tutti convocati secondo le vecchie regole, tutti al voto dotati dei pesi elettorali in vigore ma che avrebbero invece dovuto essere cambiati dopo l’emendamento Mulè, tutti al voto con i preesistenti rapporti di forza, e il punto di arrivo sarà quello di partenza. La serie A e (il mondo professionistico) avranno nel complesso il 2% in più rispetto a oggi, ma resteranno minoranza: al voto poi andranno tutte quelle componenti (a partire dalla Lnd) che avrebbero dovuto perdere peso e cosa mai aspettarsi, che votino contro se stessi? Ci sarebbe una legge, ma questa legge sarebbe stata aggirata, sostengono in molti. È come se il Governo legiferasse decidendo che non è più possibile costruire abitazioni di un metro, e il giorno dopo si continuasse a costruirle di un metro…
Più che un’assemblea pare una barzelletta: tutti che parlano e l’unico che forse avrebbe dovuto parlare (e agire) sarebbe dovuto essere il presidente del Coni Giovanni Malagò che invece ha deciso di starsene così, quieto e silente. Avrebbe potuto nominare un commissario ad acta che modificasse lo Statuto secondo quanto stabilito dall’emendamento Mulè ma niente. È un problema di metodo, non di numeri (e anche di forma: perché l’obbligo di presentare prima le proposte?, perché non lasciare invece che in assemblea si dia spazio al confronto?): la serie A contesta come questa assemblea sia invalida, e dopo il primo ricorso cautelativo, è pronta a presentarne altri subito dopo la conclusione della “kermesse” graviniana. È decisa con un altro provvedimento a impugnare l’assemblea ritenuta invalida perché invalido è il regolamento che l’ha stabilita, seguendo le precedenti regole (e pesi). Contesta, in sostanza, come le decisioni di Gravina (e del consiglio federale) siano fuori legge.
Gravina dal canto suo si sente (o almeno mostra di esserlo, l’ha anche detto, «ho una larghissima maggioranza») sicuro, forte del largo consenso: del resto alla Lega B, dopo aver defenestrato il presidente Balata (ancora in carica ma ormai senza più seguito cadetto e si attende la convocazione dell’assemblea elettiva…) ha riconosciuto persino un altro consigliere federale e l’1% in più; alla Lega Pro di Marani, cui ha decurtato una percentuale di peso elettorale (- 5% e -1 consigliere) ha “promesso” un aumento della mutualità (l’1% dopo i malumori, in partenza era lo 0,5% in più) da legarsi all’impiego dei giovani (riforma Zola); al fedele alleato Abete (diventato nel frattempo anche commissario straordinario del Comitato Lombardia, lì dove la moglie del segretario generale Figc Brunelli aveva vinto a metà settembre con il suo gruppo le elezioni sul rivale Pedrazzini, ma per una questione regolamentare non ha ottenuto la presidenza della Lnd Lombardia, e Valentina Battistini ora è tornata alla carica…) che governa i Dilettanti che avevano il 34% e 6 consiglieri prima e il 34% e 6 consiglieri avranno anche domani; per non parlare di Aic (Calcagno è il vice-presidente federale, ma pare ancora per poco…) e componente allenatori, entrambe le categorie protette (finora) e intoccabili secondo la “Legge Melandri” (30% in tutto); solo gli arbitri “cancellati”: tolto il 2% e il voto del presidente Aia in consiglio, in nome di una non precisata autonomia proprio mentre sono in corsa le procedure di voto dei delegati per la presidenza dell’Aia (il duello è Zappi–Trentalange). Sul punto della proposta Aia, c’è da registrare come nel Comitato Nazionale non sia passata la proposta avanzata dall’ala Trentalange, che invece quella dell’attuale governance (Pacifici, che appoggia Zappi) sia praticamente appiattita su quella federale che non solo esclude l’Aia dal consesso federale in termine di voto ma che propugna un’autonomia parziale e che in realtà farebbe rimanere fermo e sussistente il controllo sulla gestione amministrativa da parte della Federazione, e infine che le proposte dell’ala Trentalange saranno avanzate dal delegato Sisia puntando non solo alla conferma del 2% ma anche a un’autonomia sostanziale e al ritorno della “giustizia domestica” sulle condotte dei tesserati arbitrali. Pare che la proposta di Sisia e quella della serie A non siano state fatte circolare alle altre componenti, nonostante il sollecito fatto al segretario generale Figc. Se fosse vero, si aprirebbero allora anche questioni procedurali sullo svolgimento dell’assemblea, secondo quando previsto dagli articoli 4 e 9 del regolamento. Si vedrà, intanto…
Intanto domani Gravina partirà col favore dell’88% dei delegati, così come è stato in questi anni, e in questi mesi. Contro, sulla carta, spirerà il vento del 12%, cioè quello della Lega A. Sulla carta, poi. E già, perché al voto andranno i rappresentanti dei venti club e in questi mesi di trattative e incontri il presidente federale si è abilmente aperto una finestra sul variegato mondo della serie A, scalfendone l’unità e indebolendo l’ala (Lotito, De Laurentis, Cairo i principali attori) oltranzista: alcuni club, in testa Juve e Inter, ma anche Atalanta, Bologna, Roma ad esempio, hanno “aperto” alle modifiche e ai riconoscimenti (18% di peso elettorale e 4 voti in consiglio federale, compreso quello del presidente di Lega) contenuti nella proposta presentata dal presidente federale e sulla quale da mesi fa opera di mediazione Adriano Galliani, che i meandri e i corridoi di via Rosellini a Milano li conosce meglio persino delle proprie tasche. Del resto una dimostrazione plastica la si è avuta anche qualche giorno fa, nel corso dell’ultima assemblea di Lega. I distinguo non sono mancati dopo le parole del presidente Lorenzo Casini, anche lui ha una posizione in bilico: Juve e l’Inter con Marotta (consigliere federale), ma anche Percassi jr (vice-presidente di Lega A) hanno sostanzialmente giudicato positive le “concessioni” definite come importanti e che, visto il delicato momento, “non sarebbe utile andare allo scontro”. E, pur votando compatti (venti voti favorevoli su venti) per la presentazione del ricorso che impugna la convocazione e il regolamento dell’assemblea straordinaria (secondo una norma transitoria contenuta nello Statuto, le modifiche ai pesi elettorali ad esempio potevano essere stabilite dal Consiglio federale senza bisogno di ricorrere all’assemblea straordinaria e, dopo l’emendamento Mulè, Gravina e il consiglio federale avrebbero dunque dovuto adeguarsi) hanno aperto un fronte che nei prossimi giorni potrebbe anche allargarsi trasformandosi in manna dal cielo per Gravina («ho motivo di ritenere che non tutti i club siano disposti a negoziare un consigliere o una percentuale in più, per rischiare di perderla»).
Già, perché dopo l’assemblea straordinaria Figc di domani a Fiumicino, l’assemblea della Lega serie A verrà nuovamente convocata ad horas: all’ordine del giorno sarà inserita la valutazione (e il voto) del ricorso sull’esito elettorale, un ricorso non solo endofederale ma che approderebbe fino al Tar (come ad esempio successe con l’indice di liquidità, battaglia poi vinta dalla Lega A sulla Figc) affidandosi così alla giustizia amministrativa, perché secondo molti club e i legali della Lega A, Gravina avrebbe disatteso l’emendamento Mulè e quindi non avrebbe osservato, anzi l’avrebbe dribblata, fregandosene, una legge dello Stato. Un altro ricorso, il primo di una lunga serie di nuovi ricorsi.
Si arriverà a tal punto? Difficile ipotizzarlo (anzi, potrebbe aprirsi una guerra interna a Milano), come però non sarà difficile ipotizzare un nuovo intervento da parte di una parte della politica, magari mossa dalle istanze di Lotito (e De Laurentiis) e soffiata dalla campagna che Cairo sta diffondendo anche attraverso i suoi mezzi di informazione: secondo molti, questo sarebbe il momento per tagliar fuori definitivamente Gravina che invece per ora resterà in sella, sia pur meno serenamente del solito.
Altro che pesi e percentuali, altro che riforme e proposte epocali, il vero duello sta tutto (al solito) in una poltrona: Gravina ha bisogno di una dimostrazione di forza e consenso per potersi ricandidare e ha fissato l’assemblea straordinaria senza modificarne i “pesi” per ottenere una scontata legittimazione alla candidatura, rifugiandosi in questo pensiero, come da “padre nobile”: «La mia riserva si scioglierà nel momento in cui avrò chiuso il percorso di rispetto di alcuni principi a cui ho fatto riferimento, quindi non appena avremo le nuove regole del gioco. Ho la netta sensazione che si stia lavorando a livello aritmetico e geometrico: si tracciano delle traiettorie di ogni genere per capire se sia rilevante un peso politico rispetto a un altro e questo è un approccio superficiale», sostenendo inoltre di aver agito in base alla legge (cioè all’emendamento Mulè), «noi vogliamo rispettare i nostri principi statutari, le leggi dello stato, tutelare il fattore sociale dello sport e del professionismo, per questo riteniamo che la nostra proposta sia coerente». Dall’altra parte (una parte della serie A) c’è chi sostiene come Gravina abbia agito non solo non adempiendo a quanto previsto già nello Statuto a proposito della modifica della rappresentanza in consiglio federale, ma anche e soprattutto sconfessando palesemente una Legge dello Stato. E per questo punta a una nuova, rumorosa, battaglia: mettere Gravina spalle al muro, costringerlo alla resa e infine eliminarlo dal contesto federale arrivando prima al commissariamento (o al commissario ad acta che adegui lo Statuto invalidando l’esito dell’assemblea straordinaria ma qui dovrebbe essere Malagò a muoversi…) e poi alla battaglia elettorale con un proprio candidato, un candidato per ora però difficile da trovare per puntare alla vittoria.
Sullo sfondo però, ed è destinata a far sempre più rumore, c’è la vicenda giudiziaria che ha Gravina come indagato per corruzione e autoriciclaggio: l’inchiesta della procura di Roma, nata dopo il caso dossier a Perugia (va detto che il fascicolo pre investigativo di Striano su Gravina, pur confezionato con presupposti illeciti come sostiene la Procura di Perugia, contiene informazioni di interesse investigativo, e «fatti di grande serietà», come li ha definiti il procuratore nazionale Antimafia Giovanni Melillo), va avanti: a giorni è atteso il giudizio del Riesame (collegio di tre giudici) sul ricorso dei pm romani che hanno chiesto l’adozione di una misura di sequestro cautelativo nei confronti del presidente federale. In prima battuta il gip del Tribunale di Roma aveva rigettato l’istanza, adesso sta valutando il ricorso. Un passaggio decisivo per le sorti (personali e federali) di Gravina: se il Riesame dovesse accogliere la richiesta, lo scenario – lo si “intuisce” anche dai resoconti mediatici di questi giorni che “cavalcano” alcuni rapporti (su questo sito, se ne scrisse due anni fa, leggi qui e qui) – diventerebbe assai nebuloso. Dovesse invece arrivare un altro rigetto, si può dire che la strada per Gravina verso la nuova rielezione sarebbe totalmente in discesa…E chissà, a quel punto magari sì che arriverà la riforma “epocale” del calcio italiano…