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Euro 2032 e stadi, il calcio annusa un altro affare di Stato. Fondi e miliardi per cancellare 32 anni di rendering. L’accusa di Abodi

La candidatura dell'Italia e il gap nei confronti dell'Europa. Le richieste Uefa e le promesse. Da Milano a Roma, i progetti stentano a decollare. Nella partita ci sono anche i centri sportivi dei club

Riforme, investimenti, modelli di business. Lo sport italiano e il calcio in particolare, continuano a guardarsi nello specchio. Adesso vi si riflette un’occasione da non perdere: sfruttare la candidatura all’Europeo del 2032 per realizzare nuovi impianti, rimettere a nuovo quelli esistenti. Prevista, pre-annunciata (leggi qui), è arrivata la firma di Abodi, il Governo appoggia la candidatura, dichiarandola “di pubblico interesse e di rilevanza nazionale”. Gravina applaude. «Una grande notizia per l’Italia». Già, la notizia sarebbe se si passasse dalle parole ai fatti. Perchè trentadue anni di ritardi non si cancellano solo con buoni propositi. Gli stadi italiani sono vecchi, cadenti, senza servizi, per nulla ospitali e di sicuro poco confortevoli. Aprono per ospitare la partita, poi richiudono. Hanno un’età media di 62 anni e si può affermare senza tema di smentita che i più “giovani”, cioè molti tra quelli costruiti o ammodernati a suon di centinaia di miliardi (di lire) nel carrozzone che fu Italia ’90, sarebbero letteralmente da rottamare comprese infrastrutture e opere collaterali. Sporadiche manutenzioni straordinarie, addosso qualche sverniciata costata milioni di euro pubblici, impantanati tra pastoie burocratiche e litigi tra Comuni e club sulla gestione e/o concessione, fitto, alienazione e quant’altro: lo stato dell’arte degli stadi italiani è un affresco di dolori, l’unico grande stadio costruito negli ultimi 30 anni l’ha edificato a proprie spese la Juventus (anche il Frosinone ma capienza ridotta) che ne è proprietaria, a Reggio Emilia il Sassuolo ha “comprato” lo stadio diventato Mapei, seguito nell’esempio poi da Atalanta e da Udinese che li hanno rimessi a nuovo trovando sponsor (Gweiss e Dacia). Sono tre stadi per standard di sicuro sopra la media italiana, però per capienza non rientrano tra i rigidi parametri Uefa (ad esempio la soglia minima è di 30mila spettatori) per essere sedi di gare d’un Europeo. Poi solo promesse, progetti, rendering: insomma solo parole. C’è invece un dato su carta che inchioda: sono 187 gli stadi costruiti e consegnati in Europa tra il 2007 e il 2021, 22 i miliardi investiti che hanno però comportato un aumento dell’affluenza del 50% e generato flussi e ricavi extra-partite perché sono impianti open tutta la settimana. Secondo un dato presente nel report annuale della Figc, nella realizzazione degli stadi l’Italia è scivolata oltre il decimo posto in Europa, sorpassata sì dalla Russia che aveva ospitato i Mondiali del 2018 ma anche da Polonia, Turchia, Ungheria e addirittura Israele.

Rendering, errori e Abodi. Come è stato possibile? «Ho partecipato a molti convegni, ma le chiacchiere non fanno nascere progetti né tanto meno nuovi stadi o impianti. Questo tema non ha bisogno di fiumi di parole, ma di capacità, competenza e volontà, combinate con una feroce determinazione e gioco di squadra. Per come si sono evolute altre Nazioni negli ultimi anni, il confronto sarebbe perdente e umiliante. I club hanno tutto il diritto di scegliere la scala delle rispettive priorità, ma la sfida dello sviluppo si vince quando i suoi attori sono uniti, per sottoscrivere un patto per il bene comune. Inter e Milan? Sono cadute in un vizio tutto italiano, presentare i rendering prima degli studi di fattibilità e del relativo consenso dei portatori di interesse. Non credo ai progetti calati dall’alto: ascolto e confronto con l’amministrazione comunale sono passaggi preliminari ineludibili, visto che più che nuovi stadi si propongono veri e propri piani di rigenerazione e sviluppo urbano». Un anno e mezzo fa così si esprimeva Andrea Abodi da presidente dell’Istituto del Credito Sportivo; adesso è il ministro dello Sport cui tutti tendono, cui tutti (sembra) pendano, su cui il pallone tricolore punta affinché renda vincente la candidatura a Euro 2032, una corsa ad ostacoli, una gara che vede in vantaggio la Turchia (leggi qui), lì dove nell’ultimo decennio hanno consegnato ventuno stadi, altri 17 sono in costruzione e 6 tra questi quasi in consegna. Lì dove Erdogan ha messo nel conto un altro miliardo da investire. Tra dieci giorni a Nyon arriverà la “manifestazione di interesse nazionale” del Governo insieme al dossier della Figc. Poi, però, dalle parole bisognerà passare ai fatti: tra sei mesi serviranno impegni e non solo parole. Serviranno soldi, serviranno stadi. «È un fascicolo al quale stiamo lavorando, in costante contatto con la Figc», ha detto Abodi. Intanto oggi a Milano discuterà di modelli di business e investimenti, con lui il presidente del Coni Malagò, quello della Figc Gravina e quello di Lega A, Casini: il tema è caldo. Sempre a Milano, nel pomeriggio, si svolgerà l’assemblea di Lega serie A, tra i punti all’odine del giorno (ci sarebbe pure quello dell’elezione del consigliere indipendente, la vice-presidente dell’Empoli Rebecca Corsi resta in ballo ma dovrebbe prendere 14 voti, la sua candidatura anticipata qui, probabile che si vada al terzo appuntamento per questione di quorum a meno che Lotito e company non diano via libera) c’è anche quello legato agli stadi e ai centri sportivi. È il punto numero 5: “progetto infrastrutture, informative e stato di avanzamento”. Perché la partita sulla candidatura tricolore a “Euro2032” è una partita vitale per i club italiani pronti a cogliere nell’occasione – fondi, finanziamenti, agevolazioni – un’occasione ghiotta, vitale, decisiva.

 

Le parole e la corsa alla giacchetta. Confermando l’incontro (leggi qui) col ministro dell’altra settimana, al termine del consiglio federale di lunedì scorso (leggi qui il comunicato Figc) il presidente Figc Gabriele Gravina aveva detto: «Con Abodi ci siamo già visti la settimana scorsa. È stato un incontro propositivo con al centro la candidatura dell’Italia a Euro 2032. Tra qualche giorno, quando andremo a Nyon per presentare il nostro dossier, auspico ci sia anche la lettera del nostro Governo». Qualche giorno prima, subito dopo la scelta della Meloni di restituire allo sport italiano un ministero e un ministro (senza portafoglio, però), aveva esclamato: «È una notizia straordinaria per lo sport e il calcio in particolare. Con Abodi abbiamo condiviso idee e progettualità, non ultime quelle sull’impiantistica che rappresenta la grande sfida da vincere per rilanciare il sistema Italia, anche grazie all’assegnazione di Euro 2032». Subito dopo il giuramento del ministro gli ha poi sottoposto i dossier più urgenti e scottanti: la questione del vincolo sportivo certo, ma soprattutto il miliardo di euro che i club dovrebbero versare al Fisco prima della fine dell’anno e la richiesta di endorsement governativo sulla candidatura da presentare a giorni all’Uefa. Tutti capitoli lasciati in sospeso, capitoli sui quali aveva registrato per mesi la freddezza e la lontananza del Governo Draghi tuffandosi insieme al presidente del Coni Malagò in continue discussioni col sottosegretario Vezzali. Senza un piano concreto di riforme non si può dialogare, il calcio deve essere credibile: la risposta non sarebbe mai cambiata. Nel giorno delle dimissioni di Draghi, aveva chiesto al premier di tenere in caldo e perorare la causa sull’Europeo: preso da mille contingenze, il dimissionario presidente del Consiglio l’avrebbe invece accantonata anche per non “impegnarsi” e non “impegnare” il successore, scelta identica a quella compiuta per l’urgente nomina dell’a.d. di Milano-Cortina. Nei giorni di campagna elettorale Gravina s’era tenuto lontano; a urne chiuse e spoglio ultimato, si sarebbe spogliato del fardello, non senza una puntina di evidente fastidio. «L’impegno che chiediamo al Governo è di continuare a sostenere la candidatura a Euro 2032. Chiamare la Meloni? No, io non chiamo nessuno. Devo solo sollevare un tema: il confronto ci sarà così come c’è stato col Governo Draghi. Entro il 15 novembre dobbiamo presentare una lettera d’impegno per la candidatura che sta ricevendo già tanti consensi». Le entusiastiche dichiarazioni sull’avvento di Abodi avrebbero insolitamente invece accomunato – di solito sono su poli opposti – il presidente federale e quello della Lega serie A. «Abodi è il profilo ideale per affrontare le urgenze del sistema calcio, in particolare sul tema degli impianti e delle infrastrutture»: così Lorenzo Casini. E tanto per restare in A, questo il pensiero dell’amministratore delegato Luigi De Siervo che sulla questione impianti batte il tasto dolente da anni: «Basta odiare il calcio, al nuovo Governo la serie A chiede stadi per ottenere l’organizzazione di Euro 2032. Il problema è strutturale, con problemi giganteschi. Non dobbiamo aspettare l’Europeo per fare gli stadi, ma invece fare il contrario. È un problema atavico: senza infrastrutture adeguate anche le attività commerciali correlate non decollano». Capovolgere l’agenda e stravolgere il solito refrain: non ottenere l’Europeo per fare gli stadi, ma fare gli stadi per candidarsi – seriamente, concretamente – e ottenere l’Europeo. Il ragionamento di De Siervo non farebbe una grinza se non ci fossero le lancette del pallone italiano che vanno – e continuano ad andare – sempre al contrario.

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I dieci stadi e il decollo. Dieci sono le città con relativi stadi selezionati dalla Figc e inseriti nel dossier-candidatura. Milano (non si sa ancora con quale stadio), Torino (l’Allianz della Juve), Genova, Firenze, Bari, Palermo, Roma (l’Olimpico o quello ormai mitologico-futuristico della Roma?), Napoli, Cagliari e Bologna. A Milano la nebbia è ancora fitta. Nel dossier della Figc da spedire in Svizzera è stato inserito San Siro che andrebbe abbattuto oppure no, in fondo da programma dovrebbe ospitare la cerimonia inaugurale dell’Olimpiade invernale nel 2026. La Giunta del sindaco Sala firmando l’adesione come sede per l’eventuale Europeo del 2032 in Italia ha candidato quello di San Siro aggiungendovi però una postilla (“nel caso in cui, in seguito, si rendessero disponibili altre strutture, si andranno ad apportare le necessarie integrazioni agli accordi”) mentre c’è da registrare come dopo tre anni di parole, progetti e litigi, si sia ancora fermi al dibattito pubblico sulla cattedrale disegnata da Populous e l’area dell’ex Falck a Sesto San Giovanni che sembrava definitivamente scartata potrebbe invece tornare d’attualità. Per la nuova casa del Milan e dell’Inter l’investimento pianificato è di 1,3 miliardi di euro: lo stadio dovrebbe sbocciare nell’area parcheggi accanto al (demolito?) San Siro. Al lungo dibattito si è da poco iscritto il sottosegretario Vittorio Sgarbi che ha tuonato: «Il Meazza non si tocca, se serve lo vincolerò, anche se il vincolo sarebbe automatico perché ha più di 70 anni». Il pensiero della Soprintendenza sul vincolo è diverso; in consiglio comunale c’è anche che un’ala della maggioranza non pare sul tema (abbattimento o no) in sintonia col sindaco che intanto nel fine settimana ha dettato nuovi tempi. «In consiglio comunale ci andremo tra un annetto, questa storia dello stadio è così tribolata che il mio intendimento è di fare un passo alla volta». Dichiarazioni accolte certo non col sorriso da Inter e Milan, le società che hanno il compito di costruire il progetto esecutivo e dall’altro di spiegare come San Siro verrebbe smantellato. I tempi si allungano, pensavano i club di chiudere la questione entro la fine del 2022. E invece per fine anno dovrebbe terminare solo il dibattito pubblico, coordinato da Andrea Pillon di “Avventura urbana srl”.

Roma, Bologna e Commisso. Un’avventura diventata romanzo è invece la storia del nuovo stadio della Roma. Affacciandosi in Transatlantico il neo ministro dello Sport Andrea Abodi ha sentenziato «lo stadio si deve fare e si farà, sarà il biglietto da visita italiano», rispondendo così agli interrogativi sui tempi del nuovo stadio della Roma, tempi – si è ormai oltre i 12 anni – che si perdono tra il biblico e il mitologico. È dagli inizi del Duemila che se ne parla, che se ne discute tra progetti, annunci, proclami. Dopo Pallotta, la palla avvelenata è passata ai Friedkin. Dopo il fallimento dell’area a Tor di Valle, si punta adesso su Pietra Alata, il costo previsto è di almeno mezzo miliardo di euro, lo stadio in un’area di 800 ettari e con una capienza di 65mila spettatori. Entro la fine di questo mese dovrebbe essere presentato lo studio di fattibilità: al solito, questione d’inchiostro e burocrazia. Quanto a cemento e mattone, dovrebbe nascere entro il 2027 per poter celebrare il centenario della Roma. Il famoso “biglietto da visita” italiano per l’Europeo del 2032. «Lo stadio si deve fare e si farà», ha ripetuto Abodi che ha, tra parentesi, un cuore laziale: sempre tra parentesi, Lotito ha incontrato il sindaco Gualtieri mostrando interesse per la ristrutturazione-riqualificazione (100 milioni) del Flaminio. Al momento lo stadio della Roma non c’è mentre a Roma resta l’Olimpico che ha ospitato quattro partite dell’Europeo 2021. Per metterlo a nuovo, servirebbero però almeno 70 milioni di euro, troppi per uno stadio che da sempre ha presentato limiti, ad esempio nella visibilità del campo in alcuni settori. A Bologna il piano per la ristrutturazione del Dall’Ara è di sei anni fa. Si punta al 2026 per la consegna, più volte annunciati i lavori però non sono ancora partiti. Per due anni la squadra dovrebbe giocare in un impianto (16mila posti) temporaneo nell’area dell’ex Caab: il costo del nuovo Dall’Ara intanto è lievitato dai 120 milioni iniziali agli attuali 150. Quaranta del Comune, 20 dal Credito Sportivo, il resto uscirà dalle tasche del presidente italo-canadese Joe Saputo. A proposito di proprietari italo-americani. A Firenze Rocco Commisso voleva spendere 250 milioni per costruire il nuovo stadio: dopo furiosi litigi con Comune e Soprintendenza, s’è invece deciso di ristrutturare il Franchi, conservandone però le parti storiche. A gennaio è prevista la consegna del progetto definitivo, in primavera dovrebbe concludersi la conferenza dei servizi. I lavori dovrebbero completarsi entro il 2026, il costo è di 135 milioni cui aggiungere l’Iva: 95 milioni dal Pnrr, per gli altri si sta dando da fare il sindaco Nardella che cerca finanziamenti pubblici e per questo “colpito” dagli strali di un viola doc, l’economista Bini Smaghi. E così il miliardario Rocco Commisso (6,1 miliardi di patrimonio) aspetta solo le chiavi. Intanto però s’è dato da fare. A Bagno a Ripoli sta nascendo il “Viola Park”, un centro sportivo all’avanguardia, un centro sportivo che costerà più di uno stadio. Tra ritardi, espropri, infrastrutture e rincari, il conto è sempre più salato. «Per il Viola Park spenderò 115 milioni. Quasi quanto la Juventus ha speso per lo stadio nuovo», ha detto il patron che pensava di inaugurarlo entro dicembre e invece se ne parlerà in primavera.

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Le altre, le sostitute, i centri sportivi. Sarà ristrutturato anche il Sant’Elia, a Cagliari. Il progetto presentato dal presidente Giulini in combinazione con un partner industriale: il costo stimato è di 130 milioni di euro, il club dovrebbe mantenere la concessione per 50 anni. Riammodernato con i fondi della Regione Campania stanziati per le Universiadi, a Napoli il San Paolo sarebbe quasi pronto, come quasi pronto il Ferraris a Genova: urgenti gli interventi infrastrutturali e di accoglienza (tipo i parcheggi) più che le opere interne. A Bari il sindaco Decaro si è detto pronto a intervenire nella ristrutturazione di quell’astronave chiamata San Nicola, e sull’attenti s’è messa pure l’amministrazione comunale di Palermo. Dietro la fila delle dieci candidate si muovono persino le “sostitute”: al ruolo aspirano tante, ad esempio Salerno, il governatore della Campania che è il salernitano Vincenzo De Luca e la rampante Salernitana di Danilo Iervolino che aveva chiesto mesi fa l’Arechi per poterlo “ricostruire”. Dopo baruffe mediatiche e fuochi pirotecnici, il governatore ha invece annunciato l’ennesimo rendering e 35 milioni di euro per lo stadio che dovrebbe restare di proprietà comunale, ammansendo le velleità e le mire del nuovo proprietario, cementando però un patto: la candidatura a sostituto (difficile se non impossibile) ma soprattutto a stadio per ospitare gli allenamenti delle nazionali impegnate nelle gare a Napoli, consentirebbe di infilare l’Arechi (come altri) tra gli impianti destinati a ricevere fondi e finanziamenti. A testimonianza del pensiero, l’a.d. della Salernitana Maurizio Milan ha ospitato per due volte in città (tappa istituzionale anche per il presidente della Lega A Casini) il coordinatore della Commissione infrastrutturale della Lega A ed ex Credito Sportivo Andrea Cardinaletti accompagnandolo poi di persona in Comune. A colloquio con l’amministrazione in una triangolazione per discutere dell’Arechi ma anche del centro sportivo da realizzare.

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Sì, perché nelle pieghe del progetto impianti legato a Euro2032 si lavora anche alle costruzione di strutture che garantirebbero patrimonializzazione alle società. Tra i fascicoli inviati dall’Uefa alla Figc che li ha poi girati ai club, c’è un capitolo: “Accomodation and training centres”. È un elenco dei requisiti richiesti affinché un centro sportivo rientri tra quelli potenzialmente ospitanti le nazionali impegnate nell’eventuale Europeo. Tra i requisiti, si legge: l’uso esclusivo per la nazionale nell’arco temporale compreso tra quindici giorni prima dell’inizio e tre giorni dopo la finale; una distanza massima 20’ di bus dall’hotel dove è ospite il club (vale anche per lo stadio) oppure una struttura ricettiva all’interno in grado di ospitare il gruppo nazionale; un campo (105×68) più almeno altri due campi in erba di dimensioni para-regolamentari; sale mediche, sale stampa, sala per allenatori, spogliatoi standard Uefa, sala anti-doping, parcheggi e altro ancora. Se la Uefa non approva un centro sportivo, “l’ospitante deve fornire un elenco di centri alternativi”: c’è scritto a caratteri cubitali. A caratteri cubitali scorre il titolo di Euro2032: un’occasione da prendere al volo. Solo così (forse) si potrebbero cancellare trentadue anni di rendering e ritardi.

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