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Gravina sotto inchiesta e Chinè fermo al palo. La scure Riesame e il silenzio dei potenti: da Abodi a Malagò, da Taucer a Giuliano Amato

L'ex premier e presidente della Consulta è il Garante del codice di comportamento sportivo del Coni nel quale sono previste norme specifiche per attivare procedimenti. Il corto circuito continua: in bilico l'imparzialità e l'indipendenza della giustizia sportiva
Malagò e Abodi

Dossieraggio o fumus boni iuris di autoriciclaggio? La risposta la daranno, come giusto sia, le sedi penali competenti. Ma come è facile comprendere, un fatto del genere non è irrilevante per lo sport: e di questo dovrebbe occuparsene proprio la Figc. È un corto circuito sul quale si tornerà fra poco. Intanto si può dire che questo corto circuito si dispiega (anche) con l’incredibile silenzio delle istituzioni sportive anche dopo l’ordinanza del Tribunale del Riesame. E che non può non riguardare anche il ministro Abodi (che oltre un anno fa si preoccupò di fare una legge per imporre che le sanzioni sportive fossero computate in classifica soltanto una volta che fossero divenute definitive). Una bazzecola rispetto a quello che si legge, da oltre un anno, a proposito delle vicende giudiziarie che coinvolgono il presidente federale Gabriele Gravina senza che il procuratore capo federale abbia (ancora) mosso un passo. E dire che a fine 2022, ad esempio, fu proprio Gravina a “investire” Chinè del caso D’Onofrio (il caso del procuratore Aia arrestato per narcotraffico) e a cascata del deferimento (e inibizione in primo grado) dell’allora presidente dell’Aia, Trentalange.

Tornando all’attualità.

Stupore e incredulità, tanto da lasciare senza parole. E senza (ancora) una risposta a una domanda semplicissima: possibile? Possibile che nemmeno la Procura Federale non abbia ancora aperto un fascicolo sull’inchiesta che ha come indagato dalla procura della Repubblica di Roma il presidente Figc Gabriele Gravina, anche se fosse solo a tutela dell’immagine, del prestigio e dell’onorabilità del presidente federale e della federazione che presiede e che per giunta vorrebbe continuare a guidare candidandosi alla prossima assemblea elettiva? Possibile che nemmeno dopo la freschissima (è di una settimana fa) ordinanza del Riesame – la vicenda rimbalza tra Procure, polizia giudiziaria e valutaria e organi di stampa da oltre un anno – che contiene passaggi delicati e circostanziati – il capo della Procura Figc, il consigliere di Stato Giuseppe Chinè, non sia sbalzato dalla sedia decidendo (almeno) di chiedere la documentazione alla magistratura ordinaria? Possibile che nessuno – nessuno – degli organi e delle istituzioni che dovrebbero vigilare e tutelare sugli accadimenti interni alle Federazioni e dunque quelli in capo al Comitato olimpico nazionale italiano (Gravina è nella Giunta Coni) abbia quantomeno alzato la cornetta del telefono o inviato una mail, per chiedere spiegazioni? Niente. Tutto bloccato, tutti fermi. Niente, nemmeno dopo l’articolo (leggi qui) che, riprendendo i passaggi più importanti contenuti nell’ordinanza del Riesame, raccontava di questa inspiegabile inerzia.

Oltre ai passaggi già pubblicati, ce ne sono altri che lasciamo al giudizio del lettore, ricordando sempre come ci sia stato il rigetto dell’istanza di sequestro cautelare. Ad esempio. Nell’ultima pagina, i tre giudici del Riesame scrivono: “Ritiene il Collegio che l’appello del Pm non possa essere accolto facendo difetto il requisito del periculum, risultando invece non condivisibile il provvedimento appellato laddove ha escluso la sussistenza del fumus del contestato reato di autoriciclaggio”. In sintesi: diciamo no al sequestro di 140mila euro nei confronti dell’indagato Gravina come forma cautelare perché l’indagato ha capacità finanziaria e patrimoniale adeguata nel caso di giudizio (e di eventuale) condanna; però non siamo d’accordo con il gip perché a nostro avviso esiste, e lo dicono le carte, il possibile reato.

Ma cosa significa fumus di reato? Significa apparenza di reato, cioè che possa esserci il reato. E i tre giudici del Tribunale del Riesame – un organo giudicante non come invece il gip – sebbene si esprimano in un giudizio cautelare, lo spiegano. Qui, ad esempio: “Si noti che il notaio incaricato dell’acquisto (l’acquisto dell’immobile a Milano intestato alla figlia compagna di Gravina) era originariamente il notaio…e che tuttavia – in relazione alle modalità di regolazione del prezzo (con due assegni circolari la cui provvista proveniva dal prestito di terzi) giungeva dal canale di notariato SOS nella categoria riciclaggio, così come analoga SOS perveniva dal circuito bancario; ad avviso del Collegio evidentemente in conseguenza di ciò il notaio…rifiutava di stipulare l’atto che veniva rogato il 15/7/2019 da altro professionista, il notaio…”.

Passaggi che si sommano ad altri, tra i quali, questi. “…la formulazione dell’incolpazione rende palese come all’indagato sia contestata a titolo di autoriciclaggio l’intera, articolata, operazione (evidentemente da Gravina e Bogarelli orchestrata) che vedeva la somma illecitamente fatta fuoriuscire dalla Lega Pro passare via via nella disponibilità di più enti economici societari: infatti in tema di autoriciclaggio è configurabile la condotta dissimulatoria nel caso in cui, successivamente alla consumazione del delitto presupposto, il reinvestimento del profitto illecito in attività economiche, finanziarie o speculative sia attuato attraverso il mutamento dell’intestazione soggettiva del bene, in quanto la modifica della formale titolarità del profitto è idonea a ostacolare la sua ricerca, l’individuazione dell’origine illecita e il successivo trasferimento….; è “palese l’evanescenza del contratto fra ISG e Ginkgo” e che “il totale abbandono da parte di Gingko del corrispettivo dell’opzione di cui non tentava alcun recupero rende palese la fittizietà dell’operazione, con cui il cerchio si chiudeva ed il denaro rientrava in possesso dell’indagato”.

Di fronte a tutti questi passaggi (ce ne sono altri), non un passo pare abbia (ancora) mosso il procuratore capo federale, consigliere di Stato ed ex capo di Gabinetto del Mef, lo spesso solerte e accorto Giuseppe Chinè: almeno ufficialmente, è tutto fermo: in stand by ci sono le carte dell’inchiesta, i rapporti della Guardia di Finanza e della Polizia valutaria e ora anche l’ordinanza del Riesame. Tutto fermo, in attesa non si sa di cosa? Si chiede più di qualcuno.

Pare non se lo chieda nemmeno il procuratore generale dello Sport presso il Coni, il prefetto Ugo Taucer. Che pure avrebbe potuto (almeno) avviare un’indagine inviando una nota di chiarimento al procuratore della Figc Chinè e motivando così il compenso (pare sia di 100 mila euro) che percepisce. In fondo per la valenza e la complessità dei valori in gioco e per la natura dell’ordinamento sportivo, il capo di una procura federale dovrebbe avere l’obbligo di aprire un procedimento conoscitivo e istruttorio alla “notizia” di un possibile illecito o reato: non è mica come un passante distratto che, camminando per strada, ha l’obbligo (il dovere civico quello sì) di denunciare di aver assistito al furto di un’auto, ad esempio. Perché dunque Chinè non si è (ancora) mosso? Questo avrebbe potuto chiedersi Taucer. E chiederlo a Chinè, naturalmente.

E pare non se lo sia (ancora) chiesto nemmeno il professore Giuliano Amato, già professore di diritto costituzionale comparato, per due volte presidente del Consiglio dei Ministri e più volte ministro (anche della Giustizia), già giudice costituzionale e poi presidente della Corte Costituzionale. Tra i vari incarichi che ancora ricopre, c’è quello di “Garante del codice di comportamento sportivo” presso il Coni, funzione per la quale sono previsti (e pubblicati) regolamento e codice. Sono poche ma semplici e significative norme.

C’è ad esempio l’articolo 12 (dovere di collaborazione): “I tesserati, gli affiliati e tutti gli altri soggetti dell’ordinamento sportivo sono tenuti a collaborare con il Garante del codice di comportamento sportivo e con gli organi di giustizia endoassociativi ai fini della corretta applicazione della normativa vigente. A tal fine, essi sono tenuti a comunicare agli uffici competenti dell’Ente di appartenenza ogni provvedimento di autorità giudiziaria o sportiva di cui siano destinatari rilevante ai fini dell’applicazione del presente Codice”. O ancora, proprio all’inizio, all’articolo 1: “I tesserati, gli affiliati e tutti gli altri soggetti dell’ordinamento sportivo sono obbligati all’osservanza delle norme statutarie, regolamentari e sulla giustizia”. Detto come il Garante possa procedere anche d’ufficio, resta la considerazione che al momento nulla anche lui abbia fatto, né sull’inchiesta giudiziaria che ha come indagato (per autoriciclaggio) il presidente della federazione sportiva nazionale più importante affiliata al Coni, e nulla abbia (ancora chiesto) al capo della Procura sportiva di quella federazione, pur solo in ragione della sua mancata attivazione.

È fermo al palo anche il professore Giuliano Amato, la cui ultima fatica letteraria si intitola “Storia di diritti e di democrazia, la Corte Costituzionale nella società”: il saggio, scritto con Donatella Stasio, “è un viaggio coinvolgente alla scoperta delle sentenze che hanno cambiato l’Italia”. A proposito di norme, codici e sentenze. Sempre nel “codice di comportamento sportivo” ci sono altri articoli interessanti. C’è l’articolo 10 (prevenzione dei conflitti di interesse): “I tesserati, gli affiliati e tutti gli altri soggetti dell’ordinamento sportivo sono tenuti a prevenire situazioni, anche solo apparenti, di conflitto con l’interesse sportivo, in cui vengano coinvolti interessi personali o di persone ad esse collegate”. E c’è anche l’articolo 9 (principio di imparzialità). “I tesserati, gli affiliati e tutti gli altri soggetti dell’ordinamento sportivo devono operare con imparzialità ed evitare disparità di trattamento nei confronti dei soggetti con cui hanno rapporti in funzione dell’attività che svolgono nell’ambito sportivo”.

Ecco. Prendendo spunto da quest’ultimo articolo, l’ex presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato (tra i poteri di Garante avrebbe anche quello di far decadere Gravina dalla Giunta Coni) potrebbe almeno chiedersi (e chiedere) i motivi dell’apparente stallo del procuratore capo della Figc (che negli anni ha aperto migliaia di fascicoli, molti dopo notizie di stampa e dopo essersi fatto passare i documenti dalla magistratura ordinaria) sull’inchiesta che coinvolge il presidente della Federazione per la quale lavora a titolo gratuito (ma con rimborso spese) in forza di una nomina giunta (Chinè, in carica dal 2019, è stato riconfermato nel 2021) su proposta del presidente federale stesso e approvata dal consiglio federale? Esiste imparzialità e non esiste disparità di trattamento, in questa specifica vicenda? La domanda si collega poi ad alcune sentenze proprio della Corte Costituzionale con le quali la Consulta ha ritenuto in passato fondate due questioni di legittimità sull’indipendenza del giudice nel caso in cui la sua nomina non abbia carattere stabile e sia invece prevista la possibilità di un reincarico, fissando così bene i paletti del concetto di indipendenza ed evitando così un possibile “corto circuito”: dice la Corte Costituzionale che, se è vero che per garantire l’indipendenza (e l’imparzialità) del giudice non è necessaria una inamovibilità assoluta, è certo invece che i valori costituzionali vengono incisi quando la sentenza sia adottata da un giudice a tempo, per il quale è possibile il reincarico da parte di una delle parti del processo.

Secondo l’articolo 34 (comma 17) dello Statuto Figc gli organi di giustizia sportiva Figc “vengono nominati dalla Figc, restano in carica per 4 anni e possono essere rinnovati per altre due volte”. Per fare un esempio legato alla vicenda attuale: Chinè, che è in scadenza nel 2025 come la carica di presidente federale e del consiglio federale, potrebbe essere nuovamente nominato capo della Procura Figc al termine delle elezioni del 3 febbraio. La questione ovviamente non vale solo per Chinè (e Gravina) ma vale per tutti gli organi di giustizia sportiva (e anche per le altre federazioni affiliate al Coni). Perché dar adito a qualche maligno di pensare che forse “Chinè non si muove perché altrimenti Gravina non lo rinominerebbe più”? Perché continuare a far aleggiare mortificanti e ingiustificati sospetti? Perché non prendere la palla al balzo, e davvero intervenire concretamente per risolvere potenziali conflitti?

Perché non approfittare (anche di questo stallo, sono tutti fermi, da Malagò a Chinè passando per Taucer e Amato, e non solo…) per dar corpo a una riforma epocale evitando che lo Stato (ma pare sia nelle intenzioni del ministro Abodi) assorba (anche) la giustizia sportiva, dopo averlo fatto con la Covisoc: visto che ora, grazie alle solite scappatoie regolamentari, non esiste più il limite dei mandati e un presidente di federazione può farlo anche a vita, perché non inserire una norma per la quale un giudice sportivo (tribunale, corte d’appello, Procura) possa ricoprire l’incarico una sola volta e magari, volendo, passare poi in un’altra federazione? Se non ora, quando?

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