«Non ho ancora sciolto le riserve sulla mia ricandidatura. Avvierò un confronto aperto, ispirato ai massimi principi della democrazia. Dopo comunicherò la mia decisione. Ma a prescindere dal nome a me piacerebbe molto che ci fosse senso di grande unità, è già successo nel 2018 e i risultati si sono potuti constatare. Non sono insensibile ai dati, non mi sto facendo corteggiare. So di avere numeri importanti, la certezza del risultato c’è, il problema è un altro: capire se ci sono i presupposti per guidare la federazione con una serenità diversa e una prospettiva per il calcio italiano». Sono le parole con le quali Gabriele Gravina, appena due giorni fa, ha infiocchettato il post consiglio federale che ha stabilito la data delle elezioni federali: si andrà alle urne il 3 febbraio. La data era stata anticipata in un articolo (leggi qui), come del resto le strategie e le mosse del numero uno della Federcalcio, che già più volte si era espresso con concetti da “statista”: «Scioglierò le riserve ma non lo farò da solo, lo farò con le componenti del calcio italiano. Un federatore non può autocandidarsi, se non verifica il consenso attorno alla sua capacità di rappresentare una guida per il movimento», frase rilasciata quest’estate (e poi ribadita ad ogni uscita pubblica) dopo l’ennesima figuraccia della Nazionale e in piena bufera politico-istituzionale (vedi botta e risposta con il ministro Abodi). Si può almeno dire come il disco (rotto) vada avanti da mesi?
Nella conferenza stampa post consiglio federale nessuna domanda (possibile?) è arrivata su un’altra (scottante) questione che va avanti da mesi, anzi da oltre un anno, e che coinvolge il presidente federale Gravina, indagato dalla Procura di Roma per auto-riciclaggio (c’è o non c’è l’ipotesi di presupposto reato di appropriazione indebita per effetto del contratto tra Isg e Lega Pro?): in fondo è l’unico e ultimo ostacolo – pesa come un macigno e aleggia come un’ombra inquietante – sulla candidatura e sulla rielezione (scontata, visti i numeri) dell’attuale presidente Figc. Qualcuno potrebbe eccepire: beh, la questione è “vecchia”, “datata”, “trita e ritrita” eppure proprio martedì scorso (cioè due giorni prima del consiglio federale) il Riesame del Tribunale di Roma, pur rigettando la richiesta di sequestro cautelare (ri)formulata dalla Procura per mancanza del periculum in mora perché “la situazione patrimoniale di Gravina, secondo un’informativa della Guardia di Finanza dell’aprile 2024, a differenza di una crisi di liquidità del 2019, delinea una situazione patrimoniale florida ed economicamente solida” (così si legge nel giudizio del Riesame) e dunque “non c’è pericolo di mancata capienza per l’eventuale confisca all’esito del giudizio”, ha evidenziato però passaggi così rilevanti e cruciali da somigliare a veri e propri fendenti, anzi macigni.
Ad esempio, si legge: “…la formulazione dell’incolpazione rende palese come all’indagato sia contestata a titolo di autoriciclaggio l’intera, articolata, operazione (evidentemente da Gravina e Bogarelli orchestrata) che vedeva la somma illecitamente fatta fuoriuscire dalla Lega Pro passare via via nella disponibilità di più enti economici societari: infatti in tema di autoriciclaggio è configurabile la condotta dissimulatoria nel caso in cui, successivamente alla consumazione del delitto presupposto, il reinvestimento del profitto illecito in attività economiche, finanziarie o speculative sia attuato attraverso il mutamento dell’intestazione soggettiva del bene, in quanto la modifica della formale titolarità del profitto è idonea a ostacolare la sua ricerca, l’individuazione dell’origine illecita e il successivo trasferimento”. Secondo il Collegio, che è bene ricordare ha espresso un giudizio sul cautelare e non sul merito, è “palese l’evanescenza del contratto fra ISG e Ginkgo” e che “il totale abbandono da parte di Gingko del corrispettivo dell’opzione di cui non tentava alcun recupero rende palese la fittizietà dell’operazione, con cui il cerchio si chiudeva ed il denaro rientrava in possesso dell’indagato”. Per i tre giudici del Riesame, l’intera operazione era “evidentemente orchestrata da Gravina e Bogarelli”. Questo, in merito alla questione dell’(auto)riciclaggio mentre l’altro possibile capo d’accusa si potrebbe far riferire al concorso nell’eventuale reato di appropriazione indebita (ai tempi, Gravina era presidente della Lega Pro che è un’associazione privata) ma questo passaggio meriterebbe un altro tipo di approfondimento concreto e al momento c’è da stare sugli atti dell’inchiesta.
Per il momento e per onore di cronaca tocca (anche) ribadire la posizione del collegio difensivo secondo cui «la valutazione attiene a una mera compatibilità astratta con le ipotesi dell’accusa che non può in nessun modo rappresentare un’anticipazione di giudizio»: così ripetono (anche qui pare un disco rotto) gli avvocati Leo Mercurio e Fabio Viglione che, per inciso, è il fratello di Giancarlo Viglione, da anni braccio destro e braccio sinistro di Gravina, secondo l’ordine di servizio numero 3 del 2024 (del 20 settembre 2024) capo delle Relazioni esterne e dell’Ufficio legislativo della Figc e che in passato è stato anche il coordinatore delle segreterie degli organi di giustizia federale (tra cui la Procura federale, l’antico Ufficio inchieste, guidato dal 2019 da Giuseppe Chinè), ruolo adesso affidato ad interim al segretario generale Marco Brunelli.
Gli uffici della Procura federale (e degli organi di giustizia Federcalcio) hanno sede a Roma (a Roma, dove la Procura della Repubblica indaga su Gravina) in un palazzo in via Campania, a solo pochi metri di distanza da via Allegri, lì cioè dove spicca un palazzo con ampie vetrate (come fosse quello dell’Onu, i vetri simbolo di trasparenza) dove ha sede la Figc. Eppure mai come stavolta sembra che tra i due palazzi le distanze siano chilometriche, anzi transoceaniche, per non dire come addirittura pare si trovino su altri (non comunicanti) pianeti e galassie. Il pensiero nasce spontaneo (e in controtendenza, registrati invece i continui, documentati e legittimi scambi di carteggi, segnalazioni e richieste tra l’ufficio della presidenza federale e quello della Procura, basterebbe ricordare solo alcuni casi, dalle plusvalenze al caso D’Onofrio, dalle ingiurie a Lukaku al caso Acerbi) perché è da oltre un anno che l’affaire che coinvolge il presidente federale (che si difende con la tesi che sia tutto nato da un’azione illegittima di dossieraggio, eppure anche i tre giudici del Riesame scrivono che “non è condivisibile l’affermazione circa l’inattendibilità del Floridi dovuta alla genesi del suo contributo dichiarativo… del resto, nel dipanarsi delle indagini, le propalazioni del Floridi hanno finito per essere, ad avviso del Collegio, poco più di uno spunto investigativo rispetto a vicende la cui rilevanza si è stagliata autonomamente per effetto delle acquisizioni operate”) è sui tavoli di alcune Procure della Repubblica (a iosa anche sulle pagine di quotidiani, siti e tv). Da quella di Perugia che aveva aperto un fascicolo nella primavera del 2023 fino alla primavera di quest’anno: in riferimento al procedimento penale 10838/2024 (già 18474 del 2023) compare ad esempio con data 11 aprile 2024 una nota del Nucleo Speciale della Polizia Valutaria della Guardia di Finanza inviata al pubblico ministero della Procura di Roma Sabina Calabretta in riferimento a una delega da lei emanata il 7 marzo del 2024 (ce n’era un’altra del marzo 2023) con la quale il 22 aprile del 2023 “richiedeva di approfondire il contesto delle due operazioni contrattuali con le quali Gabriele Gravina – si legge così nella prima pagina della nota – avrebbe più volte simulato la vendita di libri antichi di sua proprietà facendo ricorso a contratti d’opzione a titolo oneroso, per giustificarne formalmente la retrocessione di parte delle somme pagate annualmente dalla Lega Pro in favore della Isg in virtù di un contratto di partnership e collaborazione stipulato il 16/10/2018…”. Inutile continuare, perché la questione è nota… questa nota, così come il resto delle indagini, devono però in realtà non essere mai venute a conoscenza del Procuratore capo della Figc, Giuseppe Chinè. Altrimenti non si spiega… Possibile?
Possibile che il solerte Chinè, tra le mille iniziative di questi ultimi mesi (tra cui il caso sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nelle curve di Inter e Milan e l’eventuale coinvolgimento di club e tesserati che l’ha portato a chiedere gli atti alla Procura della Repubblica di Milano e ad aprire un fascicolo d’indagine con il concreto rischio di deferimento per alcuni tesserati, oppure il caso di “revenge porn” alla Roma che l’ha costretto ad aprire un’altra inchiesta interrogando in via Campania i protagonisti della scabrosa vicenda, quando però la vicenda è diventata di dominio pubblico attraverso la stampa, ma sono solo alcuni esempi…) non abbia trovato modo e tempo – è passato più di un anno – di chiedere alla Procura di Roma gli atti sul “caso Gravina” aprendo un fascicolo d’inchiesta, anche se fosse stato “solo” a tutela dell’immagine e della onorabilità del numero uno della Federcalcio e che dunque è il simbolo e l’immagine e il prestigio del calcio italiano?
In fondo Gravina è anche il primo dei tesserati Figc, e nel codice di giustizia sportiva, come fondamento e base di una serie infinita di inchieste e deferimenti, c’è l’articolo 4 comma 1 che prescrive come “tutti i soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo sono tenuti all’osservanza dello Statuto, del Codice, delle Norme Organizzative Interne FIGC (NOIF) nonché delle altre norme federali e osservano i principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva». A volte prodigo di deferimenti anche per una bestemmia in campo, il procuratore capo della Figc, almeno a oggi, non si è però ufficialmente mosso sulla vicenda che vede coinvolto un tesserato federale, anzi il numero uno federale. A tutela sua, e del calcio italiano. Almeno strano, o no? Disciplinare e penale sono lontani parenti, e hanno tempi assai differenti. Un presidente federale, primo tra tutti i tesserati, deve essere indenne da qualsiasi ombra: non si dovrebbe attendere il giudizio penale, bisognerebbe invece che la procura federale corresse e rispondesse a istanze, domande e sospetti, a garanzia del nome, dell’immagine e del prestigio della federazione innanzitutto, federazione per la quale opera, senza compensi ma con rimborso spese, il magistrato Chinè.
Consigliere di Stato, una lunga carriera come capo di gabinetto o dell’ufficio legislativo, già capo di gabinetto del Mef ai tempi del governo Draghi (Daniele Franco era il ministro dell’Economia e delle Finanze), il 55enne commendatore al merito della Repubblica è in carica dal 2019 quando subentrò in corsa dopo le dimissioni del Prefetto Giuseppe Pecoraro. Riconfermato nel 2021 dal nuovo consiglio federale, dopo cioè la rielezione di Gravina. Inciso: la nomina di procuratore capo arriva con il voto del consiglio federale su proposta del presidente federale; i candidati, che devono possedere determinati requisiti, presentano il curriculum e l’idoneità viene certificata dalla Commissione federale di Garanzia; nel procedimento sportivo, il capo della Procura Federale è l’unico che può decidere su chi svolgere le indagini per eventuali violazioni delle normative calcistiche, può decidere in via esclusiva se un tesserato deve essere mandato a processo attraverso il “deferimento” oppure se “archiviare” le violazioni che gli vengono segnalate, impedendo così di fatto sul nascere, a sua insindacabile scelta e senza possibilità di appello, qualsiasi pronuncia di un tribunale sportivo.
Come Gravina, anche Chinè è dunque in scadenza: il suo lavoro in via Campania soggetto alle decisioni dell’organismo che uscirà soltanto dopo il voto dell’assemblea del 3 febbraio che decreterà il nuovo presidente federale e i venti consiglieri federali. Le norme prevedono che possa continuare ancora a guidare la Procura federale, ma la scelta andrebbe ratificata appunto dal nuovo consiglio su proposta dal nuovo presidente. In questi sei anni il lavoro di Chinè (e della sua squadra) ha vissuto di alti e bassi, tra centinaia di fascicoli istruiti e il sospetto (come dimenticare le accuse e le minacce di frange di masse tifose via social e di chi, anche su quotidiani e tv, ha gridato a una “giustizia ad orologeria” o “come spada di damocle”) di averne omessi non pochi; inchieste spesso avviate faticosamente soltanto dopo il clamore originato da inchieste giudiziarie e relative notizie stampa; procedimenti tortuosi e macchinosi, tra vittorie, sconfitte e riprese; giudizi a volte sin troppo veloci, altri invece persi e dissolti nella notte dei tempi. Come dimenticare la “guerra dei tamponi” rovinosamente persa, come non ricordare l’inchiesta e il giudizio sulle plusvalenze chiuso in un batter d’occhio (senza colpevoli in primo e secondo grado) non senza reprimenda dei giudici della corte federale e poi invece l’obbligato ritorno sulla questione Juventus diventata un macigno sotto l’incedere dell’inchiesta giudiziaria, come macigni sarebbero poi diventati esposti e indagini sulle proprietà di alcuni club (tra cui Inter e il recente caso Milan), e infine come non ricordare l’inchiesta sul procuratore capo dell’Aia D’Onofrio nata solo dopo la notizia dell’arresto per narcotraffico o quella della “ludopatia” (chiusa in un battibaleno) dei calciatori della Nazionale? Iniziative sempre prese dopo notizie di stampa e solo dopo aver chiesto gli atti alle Procure.
Sono solo alcuni esempi di una lunga serie di procedimenti, molti dei quali aperti in base a quanto prescrive l’articolo 4 del codice di giustizia sportiva. Una norma che dovrebbe valere per tutti i tesserati. Perché non dunque anche per Gravina, che sia anche a tutela del presidente della Federcalcio e quindi dell’intera Federcalcio, a difesa dell’immagine e del prestigio del calcio italiano in campo internazionale?
In una sentenza della Corte federale di appello (numero 29/CFA/2021-2022/G), presente nell’archivio sul sito ufficiale della Figc col titolo “L’articolo 4 comma 1 non riguarda le sole condotte sportive in campo”, si legge: “I principi di lealtà, correttezza e probità non sono riferibili alle sole condotte sportive in campo. In base all’art. 4, comma 1, del CGS, infatti, tutti i soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo «sono tenuti all’osservanza dello Statuto, del Codice, delle Norme Organizzative Interne FIGC (NOIF) nonché delle altre norme federali e osservano i principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva». La Corte federale ha già avuto modo di chiarire che il dovere di tenere una condotta rigorosamente ispirata ai principi della lealtà, della correttezza e della probità, sebbene solitamente riconducibile al canone di lealtà sportiva in senso stretto (c.d. “fair play”), ha assunto una dimensione più ampia, che si estende anche oltre l’ambito della competizione sportiva in sé e per sé considerata e della corretta applicazione delle regole di gioco, traducendosi in una regola di condotta generale che investe qualsiasi attività comunque rilevante per l’ordinamento federale, in ogni rapporto a qualsiasi titolo riferibile all’attività sportiva (CFA, Sezione I, n. 38-2019/2020). In altri termini, la “lealtà sportiva” costituisce una clausola generale che si sostanzia, da un lato, in una regola di comportamento oggettivamente valutabile e, dall’altro, in un parametro di legittimità del comportamento in concreto tenuto da ciascun associato e affiliato all’ordinamento sportivo. (CFA Sezione I, n. 47/2020-2021; CFA, Sezione IV n. 49/2020-2021). Ciò anche in coerenza con la previsione di cui all’art. 2 del CGS che, al pari dell’art. 1-bis del Codice previgente, riferisce l’obbligo di osservanza delle norme del codice – tra cui anche il canone di condotta di cui all’art. 4 – a tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo nel senso di tutti coloro che svolgano attività rilevante per l’ordinamento federale. (CFA, Sezione IV, n. 29/2019-2020; CFA, SS.UU., n.17/2019 del 31.10.2019)”.
Tutti coloro che svolgono attività rilevante per l’ordinamento federale. Già. Dunque l’obbligo di osservanza (e l’eventuale violazione, che comporta un deferimento) dell’articolo 4 del codice di giustizia sportiva vale per tutti e vale non solo per le condotte sportive: dunque vale anche per chi è indagato dalla Procura della Repubblica di Roma per condotte avute quando era presidente della Lega Pro e che attualmente è presidente della Figc. O no? Ad aggiungere un altro tema, ci sarebbe quello assai fresco – anche questo balzato agli onori della cronaca con notizie di stampa – relativo all’evasione fiscale di arbitri e assistenti Aia sui compensi percepiti per le direzioni arbitrali in ambito internazionale dal 2018 al 2022. C’è stato il ravvedimento operoso certo, le soglie evase non prevedono un reato penale, ma certo il caso è clamoroso e di certo non dà lustro né ai soggetti invischiati, né alla categoria e nemmeno alla Federazione che tra l’altro ha cancellato la giustizia domestica e che dunque si occupa, con la Procura federale, anche delle vicende di giustizia arbitrale. Chinè, sollecitato pare da un esposto così come la Procura generale del Coni e la Procura di Roma, potrebbe – si sussurra – aprire un fascicolo. Dovrebbe dunque indagare, e magari deferire, arbitri ancora in attività, arbitri dismessi tra cui Orsato, e persino il designatore della Can, Rocchi. Tutti rischierebbero il deferimento per la violazione dell’articolo 4 del codice di giustizia sportiva con l’accusa di comportamenti che certo non si coniugano con quelli di “lealtà, correttezza e probità”. E Gravina invece, presidente federale, accusato di auto-riciclaggio e indagato dalla Procura di Roma e su cui il Riesame ha appena rilasciato passaggi precisi in merito alle supposte condotte? Certo, sarebbe una bella domanda da porre al consigliere di Stato, commendatore al merito della Repubblica e procuratore Figc Giuseppe Chinè…Batterà un colpo?