In attesa delle decisioni che usciranno dal Consiglio dei Ministri rinviato da oggi a venerdì, cresce l’attesa, aumentano le ipotesi e si infittiscono le illazioni su ciò che conterrà l’ormai famigerato “Decreto Sport”. Si chiamerà Agenzia o Autority l’organo che controllerà i bilanci, vigilerà sulle operazioni economico-finanziarie e monitorerà gli adempimenti (e le mancanze) dei club professionistici di calcio e pallacanestro? Il nome – eppure c’è chi s’è speso in battaglie anche sulla semplice definizione, ma tant’è – è in fondo l’unica questione che poco (nulla) conta. È invece sulla composizione, sui poteri, sulle nomine, sull’indipendenza, sull’incisività dell’operato di questo nascente organo che si attendono risposte certe. Il continuo agitarsi del governo sportivo – ad esempio vedi Malagò, vedi Gravina – testimonierebbe come per una volta, e si può scrivere anche finalmente, il ministro dello Sport Andrea Abodi abbia tirato dritto, triturando lamenti, fantasiose storture e continui conflitti d’interesse (solo per capire come funziona da un po’ la Covisoc basterebbe rileggere quanto scritto mesi fa qui e qui).
Proposte bocciate, avanti tutta. Nel testo definitivo pare infatti non ci sia traccia delle proposte avanzate dal Coni (con suggerimenti della Figc ma non più della Fip di Gianni Petrucci che, dopo le iniziali contestazioni e rivendicazioni, s’è presto sfilata dal gruppo) e poi approvate in Giunta: respinte le proposte di mantenimento di Covisoc e Comtec (gli organi interni alle Federazioni di calcio e basket che controllano i conti dei club), di nomine separate di Governo e Coni, dell’istituzione di un albo dal quale le federazioni avrebbero indicato i nomi di alcuni dei componenti. Si va avanti invece con un organo (Agenzia, Autority…) formato da un presidente, due componenti e un segretario, nominati di concerto dal Ministero (Dipartimento) dello Sport con il Ministero dell’Economia, col parere delle Commissioni parlamentari (qui ci sarebbe la variazione, nel primo testo-bozza le nomine erano in capo al “Presidente del Consiglio dei ministri o all’Autorità di governo competente in materia di sport”), per sette anni e per un unico mandato, trenta dipendenti e un budget di 3 milioni di euro a carico delle società professionistiche di calcio e basket.
Gravina, dieci mesi fa: scossa e brand. Abodi e Giorgetti vanno così avanti per dare una scossa all’indebitato e pieno zeppo di conflitti d’interesse mondo sportivo (la questione della giustizia sportiva è altro aspetto primario e urgente che va affrontato) che a parole rivendica autonomia ma che alla fine, affondato in sei miliardi di debiti solo il sistema pallone, invoca aiuti di Stato e assistenzialismo. «È stata un’altra estate infuocata, non è pensabile che ci siano squadre che non accettino i verdetti del campo e poi quelli della giustizia. È evidente come ci sia qualcosa che non vada, e che bisogna intervenire. Così si danneggia il brand del calcio italiano». È una frase pronunciata lo scorso luglio da Gravina in un convegno (leggi qui) tenutosi a Rivisondoli, organizzato dal settimanale “L’Espresso” all’epoca ancora di proprietà del presidente della Salernitana Danilo Iervolino. Nell’amabile e fresca serata estiva, accanto al presidente Figc c’era anche Gianni Petrucci nelle vesti di fresco consigliere d’amministrazione del club calcistico di cui poi, a gennaio scorso, è diventato vice-presidente esecutivo. L’80enne Gianni Petrucci è anche il presidente della federazione italiana pallacanestro, è al termine del suo terzo mandato di fila dopo essere stato – per quattro mandati consecutivi – presidente del Coni e ancor prima era stato presidente sempre della Fip, federazione da cui proprio pare non riesca a staccarsene. Adesso lotta per conquistare il quarto mandato ben sapendo però che stavolta l’ascesa sarà più ripida, perché ha bisogno del 66,6% dei voti validi (sono 110 i “grandi elettori”) nell’assemblea elettiva che si terrà il 21 dicembre. È un uomo che conosce a fondo tutti i segreti e i cavilli di Palazzo, è un personaggio che conosce a fondo la politica sportiva e la politica in senso stretto, è uno che nel Palazzo si muove ascoltandone a fondo persino i sospiri. Pronto a cambiare volto, e parole, dopo aver intuito lo spirare anche solo di un alito di vento. Le parole e gli spostamenti tattici di questi ultimi quindici giorni starebbero plasticamente a dimostrarlo.
Petrucci, dai graffi alle fusa. Da tigre graffiante alla fuoriuscita dell’anticipazione sul varo dell’Autority e felina nell’accodarsi ai fulmini di Malagò e Gravina contro Governo e ministro dello Sport, a tenero micione che fa carezzevoli fusa ad Abodi. Almeno così pare. «La pallacanestro lamenta di essere sistematicamente esclusa da misure governative a beneficio dello sport, ma in questo caso assimilata al pallone: domani vertice tra il presidente federale Petrucci e il numero uno della serie A Umberto Gandini»: così sul Corsera il 5 maggio. Il giorno dopo: «C’è il forte rischio di un condizionamento dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, e c’è preoccupazione per i tempi e le modalità di applicazione del provvedimento, oltre che per il fatto di esserne stati tenuti all’oscuro»: così la nota vergata da Petrucci insieme al presidente della Lega Basket di serie A, Umberto Gandini. Due giorni dopo ecco i toni diventare già più moderati. In una nota dettata all’Ansa: «Prendo atto con soddisfazione dell’incontro convocato dal ministro Abodi per giovedì: andrò lì con Gandini e il segretario generale e porteremo il contributo del basket spiegando i motivi per cui abbiamo espresso le nostre idee. Ma andiamo con aria collaborativa per trovare una soluzione». Dopo l’incontro, ecco un altro dispaccio dal fronte, un fronte rimasto intanto bellicoso per Coni e Figc, un po’ meno per la Fip: «Abbiamo espresso le nostre considerazioni, qualcosa sarà modificato ma vediamo. Il clima è stato collaborativo, ora conta il testo definitivo, ma non ci sono state polemiche, solo grande civiltà». Così Gianni Petrucci il 9 maggio.
Lo stesso Gianni Petrucci che appena sei giorni dopo, era il 15 maggio, non appena conclusa l’assemblea di Lega della serie A calcistica (presenza come vice-presidente della ormai retrocessa Salernitana), con i cronisti in agguato, si soffermava solenne e sorridente. «L’Authority? La proposta così come uscita non la condivido, ma ci sono dei punti dove posso essere favorevole. Il nuovo documento non è ancora arrivato ma andrò controcorrente, mi fido di quello che farà il ministro Abodi». Senza dunque conoscere ancora il nuovo testo, messaggi concilianti e apertura totale nei confronti del ministro, il tutto mentre Coni e Figc preparavano un testo di proposte, sottoposto poi al voto della Giunta. L’atteggiamento di Petrucci rimarcato da Gianni Malagò il 20 maggio (due giorni fa), nel corso della trasmissione radiofonica Rai “Radio anch’io Sport”, quando il numero uno del Comitato olimpico qualche sassolino della scarpa se lo sarebbe tolto anche nei confronti di quel Petrucci tornato qualche mese fa a lodarlo, dopo aver invece tenuto per tanto tempo una posizione non proprio favorevole. Alla domanda (“il presidente Fip Gianni Petrucci ha detto che calcio e Coni sono andati avanti senza interpellare il basket. Vi chiarirete?”), Malagò ha così risposto: «Con Petrucci ci parlo tutti i giorni da chissà quanti anni, anche in quella riunione. Non è vero che non ci siamo sentiti. Loro ritengono che sia giusto dare un mandato in bianco. Senza polemica, noi riteniamo invece di poter dare un contributo. Comunque è un dato di fatto che neanche Petrucci sa quale sarà il testo finale». Come a dire: parla, apre al ministro, ma Petrucci lo dice in base a cosa?
La versione di Petrucci nel consiglio federale Fip. Forse, per venire incontro alle perplessità di Malagò e meglio comprendere perché Petrucci si sia sfilato dal coro lanciandosi in uno sperticato endorsement verso il ministro più che verso la riforma, potrebbe venire utile il resoconto del consiglio federale Fip del 13 maggio, dunque in pieno agone, consiglio per giunta ospitato ad ora di pranzo nel Salone d’Onore del Coni. Nel consesso federale, secondo quanto riferito e circostanziato da uno dei (qualificati) partecipanti, Petrucci aveva detto, più o meno così, partendo dal risultato dell’incontro tenutosi quattro giorni prima tra Governo, calcio e basket: “Ha iniziato a parlare Malagò, Abodi però ha detto che non c’era tempo: quasi subito si è interrotto il discorso. Gravina ha espresso netta contrarietà all’intervento governativo. Poi ho parlato io, in toni più soft. Ho detto: almeno una frase non la direte più, non ripeterete più che lo sport è autonomo, come ripetete sempre. Perché così lo sport non sarà più autonomo. Attualmente la terzietà è assicurata dai controlli di Covisoc e Comtec, loro decidono perché il loro parere è vincolante. Voi sapete infatti che quando viene qui in consiglio una decisione della Comtec, noi dobbiamo solo prenderne atto, non è che possiamo intervenire. C’è poi un lungo percorso che dal Collegio di Garanzia va al Tar fino al Consiglio di Stato, ben tre gradi di giudizio. Ma il Governo vuole andare avanti, anche se non capisco però perché questo intervento, e perché questa fretta? Finora tutte le società escluse che avevano proposto ricorsi in appello hanno tutte perso. E poi c’è l’Inps, c’è l’Agenzia Entrate, insomma c’è già lo Stato… Ma niente da fare, ho capito che l’intenzione è quella. E Petrucci fa solo le guerre che può vincere, e questa non la possiamo vincere… Nell’incontro ho fatto opposizione in maniera tranquilla. Anche perché il Governo, ma l’ho saputo dal Dipartimento, ci ha dato 1,5 milioni di euro per l’organizzazione casalinga di un girone dell’Europeo femminile del 2025. Un grande risultato, era impensabile poter arrivare a queste cifre. Ovviamente non è che ho ringraziato davanti a tutti, altrimenti uno chissà cosa avrebbe pensato e avrebbe detto: ecco perché ora Petrucci parla così…. È una cosa svincolata, ma di cui ho preso atto con grande piacere. E poi, diciamocelo: è inutile fare la guerra coi mulini al vento”.
Europeo, elezioni, esposto e…futuro. Ecco, forse Petrucci, da fine e navigato uomo di sport e politica, avrà pensato: ma chi me lo fa fare di mettermi contro il Governo e Abodi proprio ora che è stato riconosciuto un contributo economico così importante? Alla domanda, ne saranno (forse) seguite anche altre. Ad esempio, è opportuno imbracciare l’ascia (magari che la prendano altri) proprio mentre al Coni e al Dipartimento dello Sport presso il Governo è arrivato l’esposto del presidente del Comitato Lombardia della Fip Giorgio Maggi nel quale si denunciano (leggi qui) il comportamento e l’atteggiamento “persecutorio e intimidatorio” tenuto da Petrucci in qualità di presidente Fip? E a questo proposito: è il momento giusto per scatenare una guerra (persa) proprio nel momento in cui si discutono importanti dettagli relativi alle imminenti elezioni delle federazioni? Dettagli, chiarimenti e rifiniture che verranno rese note al termine del Consiglio dei Ministri di venerdì, dopo la messa a punto del Dipartimento dello Sport. Da mesi si registra una lotta cruenta, da mesi si agitano gli spettri di possibili ricorsi amministrativi.
Da mesi alcuni presidenti federali uscenti – specie quelli che hanno deciso di candidarsi per almeno il quarto mandato di fila e tra questi c’è proprio Petrucci – si muovono in cerca di variazioni alle decisioni approvate dalla Giunta Coni a febbraio. Devono conquistare il 66,6% dei voti validi espressi nell’assemblea elettiva per poter essere rieletti, altrimenti sono fuori, per sempre, non più ricandidabili. È un limite che non verrà tolto, nemmeno per i presidenti dei comitati regionali. Rifiniture, invece, per l’elezione dei consiglieri federali e regionali oltre il terzo mandato: a loro basterà invece conseguire la percentuale di voto necessaria all’elezione, senza dunque la zavorra dei 2/3 dei voti. Un’ipotesi circolata negli ultimi giorni era di un possibile escamotage per consentire ai presidenti (oltre il terzo mandato di fila) di ripresentarsi grazie al commissariamento della federazione sportiva nel caso non riuscissero a conseguire i 2/3 dei voti, oppure che non si raggiungesse il quorum dei votanti: in questo caso si sarebbe configurata un’interruzione del terzo mandato (un po’ come accaduto nello sci con Roda, leggi qui)… Un’ipotesi (pare) però scongiurata.
Resiste però quest’altra ipotesi: se nel corso dell’assemblea elettiva il presidente oltre il terzo mandato non raggiunge il 66,6% dei voti e l’altro (o più candidati) non consegue il 50% più uno dei voti, la federazione verrebbe commissariata, il presidente uscente non potrebbe però diventarne il commissario, e dopo settanta giorni verrebbero indette nuove elezioni alle quali però l’uscente (oltre il terzo mandato) non potrebbe comunque candidarsi ma magari sì, potrebbe però legittimamente “indicare” una candidatura alternativa… Tra tanti puntini sospensivi, e giusto per chiudere in bellezza, una domanda: ma non è che Petrucci stia pensando alla poltrona di presidente del Coni, visto che il Governo (un paio di mesi fa un resoconto su manovre e veleni, leggi qui) pare non voglia sempre più saperne di Malagò che intanto spera di restare in sella almeno fino all’Olimpiade invernale, o in sella grazie a un’equiparazione delle elezioni alla presidenza Coni (ente pubblico) a quella prevista per le federazioni che sono soggetti privati?