Se ne stanno tutti coperti e allineati. Se ne stanno tutti in silenzio. Amici e nemici, occulti e dichiarati. Se ne stanno in silenzio e persino acquattati, perché il momento è delicato e il valzer deve ancora iniziare: sbagliare un passo vorrebbe dire finire fuoripista. Sono gli uomini ai vertici dello sport italiano. Tra poco sarà tempo di elezioni, e rivoluzioni.
Interno stadio Olimpico, sabato 9 marzo. Mancano pochi minuti all’inizio di Italia-Scozia, gara del VI Nazioni di rugby vinta poi dal quindici azzurro, un fragoroso ed esaltante successo che ha così rotto un malinconico digiuno casalingo durato undici anni. Arriva la presidente del Consiglio Giorgia Meloni: è una grande appassionata di rugby, dicono lo segua sin dall’infanzia. Con lei ci sono segretaria personale e staff, arriverà poi anche il cognato, il ministro di Fratelli d’Italia Lollobrigida. Invitano la premier a sistemarsi nel palco centrale, lì dove siedono il presidente del Coni Giovanni Malagò e il presidente della Fir (Federazione italiana rugby) Marzio Innocenti che intanto stanno preparandosi ad ascoltare l’esecuzione degli inni nazionali. Giorgia Meloni stoppa tutti: innanzitutto perché ha bisogno della toilette ma soprattutto perché non vuole interferire con il cerimoniale. Sceglie quindi di sedersi in un palco della tribuna Monte Mario, non dove però si sono accomodate le principali autorità, politiche e sportive. La premier mima persino un lancio con un piccolo pallone ovale, poi segue attentamente la partita e a fine gara andrà negli spogliatoi per complimentarsi coi giocatori. Pochi sorrisi invece con Malagò: un saluto cordiale, ma senza tanti convenevoli, in tribuna.
Baci, ma senza abbracci, ecco. Ognuno per proprio conto. Il presidente del Consiglio da una parte, il presidente del Coni e quello della Fir, da un’altra. “Come mai la Meloni segue la partita con un funzionario della federazione e non accanto ai vertici di Coni e Fir?”. La domanda pare sia corsa di bocca in bocca, nella tribuna Monte Mario e poi anche dopo, arrampicatasi fin nei salotti della politica e della politica sportiva romana, incuriosendo i velenosi e curiosi astanti. Una risposta? Giorgia Meloni, anche dopo le ultime evoluzioni delle vicende olimpiche (e anche dopo le dichiarazioni su abolizione del Decreto Crescita), pare non nutra profonda simpatia (eufemismo) nei confronti di Malagò, che come presidente del Comitato Olimpico è in scadenza tra un anno. La premier tiene a marcare, e bene, le distanze. A maggio 2025 ci saranno le elezioni e Giovannino, come lo chiamano amici e nemici, rischia di restare senza poltrona. Il sogno del quarto mandato è (fino ad oggi) rimasto incastrato nell’affiliatissima trincea politica, e nemmeno dal Multiproroghe, approvato un mese fa, gli è arrivata la novella tanto attesa.
Se non ci saranno novità, Malagò dovrà così abbandonare la poltrona della presidenza Coni che occupa dal 19 febbraio 2013, giorno della sua prima elezione, quando cioè fece fuori (a sorpresa) Raffaele Pagnozzi sponsorizzato dall’uscente Gianni Petrucci. Gli resterebbe certo la carica di presidente della Fondazione Milano-Cortina, ma fino al 2026. E gli resterebbe certo anche la carica di membro del Cio, ma fino al 2029. Un orizzonte a tempo, mentre lui vorrebbe ampliarlo. Negli ultimi mesi il suo movimentismo l’ha portato in prima fila al Festival di Sanremo e persino negli studi di Raitre, in un’intervista-dialogo con Luca Barbareschi, ex compagno di Lucrezia Lante della Rovere che è però la madre delle gemelle Malagò, nel corso del talk “In barba a tutto”.
In barba a tutti vorrebbe farla Malagò che però col Governo di centrodestra pare abbia poco dialogo e poche possibilità di restare in sella. E mentre continua nelle grandi manovre, se ne sta quasi defilato. In attesa degli eventi. Attento a non fare rumore. Il sogno inconfessato di diventare ministro, poi, è stato ancora una volta rimandato.
Eppure anche il posto occupato da Andrea Abodi al Ministero dello Sport potrebbe liberarsi tra qualche mese. Dopo le elezioni Europee potrebbe infatti esserci un rimpasto, e nel rimpasto verrebbe centrifugato anche il ministro, le cui posizioni non sono piaciute al Governo, anche perché, pare, sia accusato di non aver messo un freno, e limitato, proprio Malagò. Accusato anche di non aver dato spazio a elementi e figure dell’orbita Fratelli d’Italia; ministro accusato anche di avere prestato troppo il fianco al presidente della Figc Gabriele Gravina. In estate ci saranno gli Europei di calcio, e ci saranno poi le Olimpiadi. Due eventi sportivi che si legano a movimenti politici e momenti elettorali. La partita delle nomine e il valzer delle poltrone partirà dopo l’estate, a meno di cataclismi che costringerebbero a intervenire prima. Tutte le federazioni dovranno rinnovare le cariche di presidente e consiglieri, prima di andare al voto per il Coni. Tra queste federazioni c’è naturalmente quella della Federcalcio su cui si posano le maggiori attenzioni: Gravina punta(va) al terzo mandato di fila, gli ultimi eventi giudiziari lasciano aperti interrogativi e perplessità: anche parte del Governo (Lega e Fratelli d’Italia) è da sempre ostile. Malagò, Abodi, Gravina, tre personaggi chiave dello sport italiano che, insieme a altri, al momento se ne stanno acquattati, ovattati, in attesa degli eventi. Attenti a non scatenare nuove fibrillazioni.
Prendete ad esempio Gravina, che da vittima del dossieraggio di un finanziere è invece finito (in realtà, una realtà che a volte supera l’immaginazione, il presidente ha affermato di essersi auto-indagato, «mi sono dovuto far indagare per potermi difendere dal secondo dossieraggio che sono falsità di qualcuno…», così dall’Ansa) sul registro degli indagati della Procura della Repubblica di Roma per auto-riciclaggio: mentre i magistrati verificano se a questo capo d’imputazione vada fisiologicamente e giuridicamente associata anche l’accusa di appropriazione indebita, mentre gli inquirenti cercano di ricostruire alcuni passaggi economici che potrebbero prefigurare anche l’ipotesi di un altro reato, il presidente del pallone ha scelto un profilo assai defilato. Modi insoliti per lui, magari consigliatigli dagli avvocati e anche da Paolo Corbi, responsabile della comunicazione Figc e notoriamente uomo con simpatie a destra. Il gabinetto di crisi allestito subito dopo la notizia dell’inchiesta è composto anche da Roberto Coramusi (responsabile relazioni esterne e istituzionali Figc) e naturalmente dal capo dell’Ufficio giuridico federale, l’avvocato Giancarlo Viglione. Intanto l’orgia di notizie, illazioni, ipotesi, congetture e persino sorprese (per tre giorni la “Gazzetta dello Sport ha dato parecchio risalto alla vicenda, chissà se un modo per marcare il distacco dell’editore Urbano Cairo in passato invece assai vicino alle posizioni del numero uno di via Allegri) è terminata. In attesa di sviluppi, è calato invece uno strano silenzio. Non solo della parte sportiva da sempre contraria a Gravina, ma anche dalle forze politiche che, anche in un recentissimo passato – vedi eliminazione al Mondiale, vedi scandalo betting – avevano preso posizione contro Gravina, chiedendone le dimissioni: in prima fila la Lega e Matteo Salvini, in prima fila alcuni esponenti di Fratelli d’Italia tra cui Paolo Marcheschi, mentre Forza Italia e Tajani (il figlio assunto a ottobre in Figc, il caso svelato da questo sito, leggi qui) hanno sempre tenuto una posizione assai blanda. Invece adesso è calato il silenzio. Il silenzio prima della tempesta? La domanda potrebbe trovare risposte a breve, mentre intanto Gravina continua a tenere un profilo basso: non un accenno al caso Acerbi, poche parole anche per la Nazionale impegnata nella tourneè americana, e zero dichiarazioni sulla prima parte di riforme che dovrebbe essere approvata dal consiglio federale tra qualche giorno. Ad ascoltare i velenosi spifferi romani, la posizione di Gravina, almeno in Figc, pare però segnata: l’ambizione di puntare al terzo mandato potrebbe così dissolversi e aprire alla volata per il successore che dovrebbe uscire dalle urne, seguendo così la scadenza temporale fissata. Però.
Però resta in piedi un’altra ipotesi. Se la Procura di Roma dovesse trovare altri capi d’imputazione si potrebbe arrivare al commissariamento, che spetta al Coni. Malagò potrebbe resistere alla moral suasion governativa? Intanto proprio a margine di un appuntamento al Coni, qualche giorno fa il ministro Abodi aveva detto: «La situazione di Gravina? Mi preoccupa moltissimo, però oltre non vado. Sono abituato a parlare con la cautela necessaria. Di fronte a questa vicenda servono prudenza e garanzie. Quello che emerge dalla cronaca di questo fatto è il dato inquietante». Se la situazione precipitasse, se il quadro diventasse ancor più inquietante, Gravina potrebbe anche essere costretto a dimettersi. In fondo tanti suoi predecessori lo hanno fatto, anche per questioni infinitamente più deboli – Tavecchio ad esempio per la mancata qualificazione al Mondiale 2018 – rispetto alle ipotesi di reato per le quali sta indagando la Procura della Repubblica di Roma, anni fa definita il “porto delle nebbie”. Dimissioni e commissariamento, oppure commissariamento forzato. In questo caso toccherebbe a Malagò prendere la decisione: nel 2018 fu lui a nominare Fabbricini commissario Figc e lui stesso a diventare commissario della Lega serie A, non senza strascichi giudiziari, tra l’altro ancora pendenti. “E se fosse proprio Malagò ad assumere le funzioni di commissario Figc?”. La domanda rimbalza, affondando però in ben altra questione: non è un mistero che Malagò, se disarcionato dalla poltrona di presidente Coni, punterebbe a diventare nuovo presidente della Figc. Se invece fosse costretto a vestire i panni di commissario, potrebbe poi candidarsi per l’assemblea straordinaria elettiva? Difficile. Ecco quindi che magari spera in un’evoluzione più lenta e “normale” delle vicende legate all’inchiesta su Gravina.
Chi, invece, al posto di Malagò come presidente del Coni? Al posto ambiscono in parecchi, ma l’impressione è che si sia ancora nella fase del riscaldamento. Non è un mistero vi punti Franco Chimenti, presidente della Federgolf (per la federazione golf dovrà combattere contro il canidato Ivan Rota e un altro che a metà aprile annuncerà candidatura), come vi ambiscono Luciano Buonfiglio (presidente canoa-kajak) e Marco Di Paola (sport equestri) e nel lotto ci sarebbe anche Luca Pancalli, presidente del Comitato italiano paralimpico. Fratelli d’Italia aspira ad occupare il posto, ma nella cerchia stretta si fatica (ancora) a capire chi possa essere designato al ruolo. Mentre rimbalza persino la suggestione Carraro – sì, proprio lui, l’84enne Franco Carraro detto il “poltronissimo” – e mentre circola anche il nome di Gianni Petrucci che per restare alla Fip deve ottenere il 66,6% di voti ma la candidatura di Guido Valori e la scelta di molti Comitati regionali di non appoggiarlo più rendono complicata la sua conferma, si segnalano intanto movimenti di Silvia Salis, attuale vice-presidente (vicario) del Coni e moglie del regista Fausto Brizzi. L’ex martellista ha già iniziato la propria campagna elettorale che sta prendendo corpo per ora nel corso di cene e incontri. Al comando di “Palazzo H” potrebbe ambire anche Abodi se dovesse uscire dalla compagine ministeriale post Europee: al momento però pare più probabile una sua nomina a commissario della Olimpiade Milano-Cortina.
A proposito di ritardi nell’organizzazione di eventi sportivi: non c’è solo l’ormai imminente Olimpiade a preoccupare. In Italia, insieme alla Turchia, dovrebbe tenersi l’Europeo di calcio del 2032. Il condizionale è sempre più d’obbligo, sebbene manchino ancora otto anni. Il caos sugli stadi e infrastrutture è palese, così come ancora irrisolto è il nodo legato al finanziamento delle opere. Il Governo vorrebbe tenersene lontano, ma gli impegni sono impegni. A tirare le fila, in questo momento, ancor più in questo momento, non è il presidente federale Gravina e non è nemmeno il ministro Abodi. La palla rotola al Mef ed è tra i piedi del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti (anche sua figlia, come rivelato due anni fa sempre da questo sito, leggi qui, lavora in Federcalcio) che ha un’opinione, non certo benevola, del mondo calcistico e dei suoi protagonisti. Molto amico e concittadino di Giuseppe Marotta (il cui nome rimbalza sempre come possibile candidato a Figc o Lega serie A, ma l’ad dell’Inter nicchia, anche per questioni economiche), il ministro ha intenzione di fissare paletti e, soprattutto, di seguire attentamente i processi economici legati a Euro 2032, se mai dovessero tenersi in Italia. E già, perché il rischio di figuracce e default è dietro l’angolo. In questo scenario si spiegherebbe così la scelta di nominare Michele Uva, ex dg Federcalcio con Tavecchio e attualmente direttore “della sostenibilità sociale e ambientale” Uefa, responsabile e referente del progetto stadi Euro 2032. Gravina, col quale i rapporti sono migliorati (nel corso dell’assemblea elettiva del 2021 l’attuale presidente avrebbe ammesso di aver sbagliato a chiederne la testa, addossando le responsabilità su Cosimo Sibilia) lo ha incontrato a pranzo, naturalmente dopo averne parlato, ed essersi confrontato, con Abodi e Malagò. Indipendentemente da chi sia il “padre” dell’operazione, restano però interrogativi e richieste. Uva avrebbe chiesto garanzie di continuità lavorative se la parte italiana di Euro 2032 saltasse, mentre il presidente della Uefa Ceferin gli avrebbe chiesto di dimettersi dall’Uefa perché, pare, avrebbe detto che deve sentirsi libero di far fuori l’Italia se l’Italia non rispetterà i programmi e dimostrerà di non potercela fare.
Ce l’ha fatta invece Giuseppe De Mita, il più piccolo dei figli del defunto ras della Dc Ciriaco De Mita, ad entrare in “Sport e Salute”. Un anno fa ambiva al posto di presidente, e pare avesse ricevuto anche garanzie in tal senso. Però nel suo curriculum vitae pare mancasse un requisito fondamentale: una laurea. E così, rimasto alla finestra, De Mita jr un anno dopo rientra dalla finestra: testimone di nozze (poi naufragate) dell’attuale presidente di “Sport e Salute” Marco Mezzaroma, sarà il consulente marketing della società, una partecipata statale. Lavorerà con la propria agenzia che promuove l’immagine e le attività di aziende e pubbliche amministrazioni a stretto contatto con l’ad, Diego Nepi Molineris. Amministratore delegato che però continua a mantenere altre deleghe, tra cui quella del marketing. E così De Mita, che un anno fa doveva diventare presidente di Sport e Salute diventando così anche il capo di Nepi, sarà invece alle sue dipendenze come consulente. Come consulente dell’ad che governa anche la direzione del marketing. Sì, sembra un giro tortuoso. Ma il gioco delle poltrone è pure questo. E le consulenze alla fine fanno felici e contenti tutti. O quasi.