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Arbitri e Var, Rocchi e la grana della direttiva Collina. Aia a Figc: “No al suffragio, è solo un diktat”. Voto per 400, Pacifici tra due fuochi

Il designatore studia i tagli in base alla nota del capo commissione arbitri Fifa. Gravina attende la proposta dell'associazione su norme elettorali, la Commissione segnala le "invasioni". Cade la linea Zaroli, i presidenti di sezione in stato di agitazione
Rocchi e Pacifici

Il 6 giugno la Premier League andrà al voto: i venti club sono chiamati a decidere se l’occhio della Var debba restare oppure vada invece abolita dalle partite del campionato inglese, il più seguito e il più ricco del pianeta. La chiamata alle urne è arrivata dopo la richiesta del Wolverhampton: «La nostra posizione è che il prezzo che stiamo pagando per un piccolo aumento della precisione è in contrasto con lo spirito del gioco e, di conseguenza, dovremmo rimuoverlo dalla stagione 2024-2025 in poi». Per l’abolizione serve la maggioranza dei due terzi dei club, quindi servono quattordici voti. Secondo BBC Sport, nel campionato inglese la percentuale di decisioni corrette prese dagli arbitri dall’introduzione Var è salita dall’82 al 96%, eppure esiste una parte abbastanza consistente di tifosi, allenatori e addetti ai lavori molto critica nei confronti della tecnologia che assiste la direzione arbitrale sul campo. Il ricorso alla tecnologia in Inghilterra avviene in una percentuale di gran lunga inferiore alla metà dei casi registrati anche nell’ultimo anno in serie A. Tanto per restare in Italia, la stagione appena conclusa non è stata avara di decisioni controverse, decisioni (e non decisioni) che spesso hanno evidenziato anche un diverso metro di giudizio (e di ricorso) alla Var: polemiche e veleni per nulla sopiti e per niente soffocati dalle comunicazioni (e dalla messa in onda) degli audio tra campo e sala Var a Lissone, e dalle spiegazioni rese dal designatore Gianluca Rocchi.

Già preso tra mille fuochi e considerato come il “pupillo” federale per la futura presidenza Aia, il capo della Can A-B è atteso da giorni ancor più di fuoco: deve tirare una riga tra dismissioni (tra cui quella di Orsato), bocciature e promozioni, deve far conto del nuovo regolamento (leggi qui) su limiti d’età e anni di carriera, deve tirare giù la classifica in base al rendimento dei fischietti italiani nell’ultima stagione. Destini umani e riflessi economici importanti per tanti arbitri e assistenti. Dall’1 luglio parte la nuova stagione della Can A-B: nelle pieghe, gli effetti delle decisioni si riverbereranno anche sulla squadra che opererà nel corso della prossima stagione da Lissone.

La squadra è formata da Var e Avar, tecnicamente è la coppia che segue dal video la partita per cui vengono designati insieme alla quaterna sul campo (di solito è composta da arbitro e assistente, ma spesso anche da due arbitri o da ex). Dalla stagione 2024/25 il lotto di assistenti Avar da cui pescare potrebbe però subire una variazione. Il presidente della Commissione arbitrale Fifa Pierluigi Collina pare abbia emanato una nuova direttiva per la quale Rocchi potrebbe essere costretto eliminare una serie di ex assistenti da designare come Avar per far spazio invece agli arbitri che stanno per essere dismessi. La ragione della direttiva sarebbe anche quella di assicurare una sorta di “cuscinetto” economico agli arbitri che escono dai quadri Can per raggiunto limite d’età o di carriera. Anche in questa stagione, per coprire tutte le designazioni per la sala Var di Lissone, Rocchi ha dovuto pescare anche tra gli ex assistenti: l’applicazione della direttiva di Collina lo costringerebbe a tagli che stanno mettendo in subbuglio il già agitato mondo arbitrale, attraversato da lotte intestine e laceranti e oggetto di una sorta di diktat federale che impone la modifica dell’attuale sistema elettorale con l’introduzione del suffragio universale, aperto cioè alla base formata dai quasi trentamila fischietti maggiorenni catalogati nella dizione “ufficiali di gara”, dizione che però escluderebbe osservatori, arbitri benemeriti e altre categorie.

La questione è nota (leggi qui, qui, qui, qui): dopo la sospensione concessa dall’ultimo consiglio federale, alla prossima riunione (11 giugno) Gravina vuole portare al voto il consiglio e ottenere la riforma. Ha dato tempi stretti per una proposta alternativa che l’Aia dovrà presentare ai consiglieri federali, e prima ancora al vaglio del presidente federale e dell’ufficio giuridico Figc guidato dall’avvocato Viglione. Secondo la coppia, il dettato della riforma sarebbe motivato dall’obbligo dell’Aia di adeguare i principi informatori dei regolamenti dell’associazione in base alle modifiche dei principi fondamentali degli Statuti delle federazioni che sono state deliberate a febbraio dal Coni; secondo la gran parte del mondo Aia sarebbe invece un invasivo intervento nel regolamento dell’Aia, un intervento che lederebbe l’autonomia dell’associazione, soprattutto un intervento non conforme a quanto prescrive il nuovo Statuto approvato dalla Giunta Coni. Una sorta di diktat che ha prodotto il riavvicinamento tra falchi e colombe, che ha riavvicinato le diverse anime presenti nel Comitato Nazionale. Una sorta di pace interna tra l’ala guidata dal presidente Pacifici e quella che fa capo all’ex presidente Trentalange con il “terzo polo” giocatore e spettatore interessato.

La pace però sembra già vacillare. Ieri si è riunito il Comitato Nazionale, che ha fatto seguito alle due recenti riunioni fin qui tenute dalla Commissione creata per elaborare una proposta alternativa (è composta dai venti rappresentanti delle consulte regionali, dal responsabile della “Commissione Esperti Legali” Valerio Di Stasio, e dai componenti del Comitato nazionale Alberto Zaroli, Riccardo Camiciottoli e Antonio Zappi) sono (ri)emerse divisioni e vedute.

Riunione del Comitato Nazionale iniziata in un clima poco idilliaco. Le spinte del vice-presidente Zaroli deciso a far mettere subito ai voti, e a far passare, una proposta vicina alle posizioni federali, cioè con un vasto e deciso allargamento della base elettorale, sia pur senza il suffragio universale. La posizione dell’ala Trentalange, decisa a votare no e ferma sulla posizione di una proposta intermedia, cioè con un allargamento (circa 100 delegati in più, dagli attuali 330 a 450 circa) dei votanti, riconoscendo così non solo le posizioni dei presidenti di sezione ma anche la considerazione che il diktat federale non è altro che un modo per “commissariare” e svuotare di ogni potere decisionale i vertici dell’associazione. Tra i due fuochi, sempre più traballante e incerto, il presidente Aia Pacifici. Che pare non sappia più a quale santo (e a quale sponda) votarsi, che si racconta dia ragione una volta agli uni e un’altra volta agli altri. Alla fine l’esito della riunione è stato interlocutorio, ma evidente la bocciatura della linea Zaroli e dunque della linea Figc. Si ragiona (ancora) sulla base delle risultanze scaturite dallo studio della Commissione, fin ora riunitasi due volte: due riunioni per certi versi sorprendenti.

Si racconta infatti di un clima particolarmente delicato, a cominciare dalla presenza (pare imposta da Pacifici) del vice-responsabile della “Commissione esperti legali” Roberto Teseo (è della sezione Roma 1) che avrebbe molto imbarazzato gli altri componenti e l’avvocato Di Stasio, un profilo di grande esperienza che negli anni ha dimostrato capacità e conoscenza della materia. C’è invece chi ha visto nell’operazione l’inserimento di una sorta di balia. Il vice-presidente Zaroli sarebbe parso poi oltremodo attivo nel veicolare il messaggio che le modifiche al Regolamento Aia siano imposte dai principi ispiratori del Coni. “Il Coni e la Figc ci hanno imposto di alzare il numero dei delegati, e su questo argomento non è possibile avere idee diverse”.

Eppure Di Stasio in un apposito specchietto ha puntualizzato, per ogni singola “proposta” (quelle prescritte da Gravina e Viglione) la compatibilità (o meno) con i principi ispiratori emanati dal Coni. E le osservazioni della Commissione presieduta dal legale di Nocera Inferiore smentiscono, su tabula, le dichiarazioni di Zaroli e Teseo. Non sembra di potervi riscontrare stringenti obblighi di modifica al regolamento elettorale, soprattutto. Ad esempio.

Prendiamo il caso dell’articolo 1, comma e. Il testo vigente dell’Aia dice: “..l’elezione separata da quella del presidente nazionale, dei quattro componenti del Comitato in rappresentanza delle tre macroregioni”. Il testo Figc presentato dice: “..l’elezione separata da quella del presidente nazionale, di tre componenti del Comitato”. Osserva Di Stasio, sulla modifica richiesta-imposta dalla federazione: “Non prevista dai principi informatori Coni; non giustificate dalle modifiche ai principi informatori del Coni; non norma di principio ma previsione regolamentare (di dettaglio)”. Quanto alla base elettorale. Il testo sottoposto dalla Figc recita: “Il presidente Aia e i componenti del Comitato nazionale sono eletti con la maggioranza assoluta dei voti validamente espressi”. La nota della Commissione scrive: “Coerente con principi informatori Coni”. Poi però, sul testo Figc si legge: “L’elezione del presidente Aia e dei componenti del Comitato nazionale sono eletti direttamente da tutti gli ufficiali di gara maggiorenni in regola con il tesseramento alla data della celebrazione dell’assemblea elettiva”. Ma la Commissione, sul punto, rileva: “Non prevista dai principi informatori Coni; non giustificate dalle modifiche ai principi informatori del Coni; non norma di principio ma previsione regolamentare (di dettaglio); utilizzo di qualifica impropria (“ufficiali di gara”) e comunque generica, non definita, limitativa del principio di democraticità e di partecipazione di tutti gli associati laddove si volesse limitare i voti ai soli arbitri effettivi, assistenti arbitrali e VMO con esclusione degli associati OA, dirigenti benemeriti e comunque esonerati da attività non riconducibili a quella di “ufficiali di gara”; in contrasto con il sistema elettivo degli organismi rappresentativi delle altre componenti federali analoghe (Leghe) in quanto associazione che riunisce obbligatoriamente le proprie articolazioni territoriali (sezioni)”.

Solo alcuni tra tanti passaggi. Passaggi però significativi, che danno l’idea di quanto sia in atto e di quanto sia in gioco. Le osservazioni formulate da Di Stasio, punto per punto, sarebbero implacabili e tecnicamente inoppugnabili anche per tanti altri e qualificati dirigenti arbitrali che non nascondono il malcontento per la deriva presa da una parte del Comitato Nazionale che vorrebbe continuare a imporre un appiattimento ormai antistorico sulle posizioni politiche della Figc. A proposito di diktat. La Figc solo pochi giorni fa ha dovuto sospendere (la decisione per ora è temporanea) la norma che avrebbe impedito l’iscrizione ai campionati nazionali per i club partecipanti alla Superlega o ad altre competizioni non riconosciute da Fifa o Uefa. Il dietrofront di Gravina (preso da mille fuochi, ultimo la miccia Covisoc) obbligato da una sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha dichiarato la norma fuorilegge. E se anche l’Aia tenesse testa al diktat federale?

Tornando al regolamento elettorale, alle modifiche e all’introduzione del suffragio universale, la manovra federale sembra ledere pesantemente l’autonomia del mondo arbitrale. Dell’Aia che, a partire dalla prima elezione di Lanese a cavallo del nuovo millennio, ha dimostrato di essere particolarmente gelosa della propria autonomia. Nessuno poi ha sin qui mai messo in discussione il sistema di elezione, che pone al centro i presidenti di sezione e che comunque ha garantito alternanze al vertice.

Poca fortuna ha poi avuto il tentativo di Zaroli (e Teseo), tra il disappunto di tanti che l’avevano letta (Di Stasio su tutti), di fare riferimento alla lettera del presidente del Coni Giovanni Malagò per giustificare il tentativo della Figc di imporre il suffragio universale o una forte diluizione delle prerogative dei presidenti di sezione, oggi soggetti centrali e determinanti per l’elezione dei vertici, presidenti che si vedrebbero affiancati da centinaia e centinaia di delegati (c’è chi parla addirittura di un’assemblea elettiva composta da oltre mille persone) con effetti destabilizzanti sulle stesse sezioni.

Nella lettera di Malagò il presidente del Coni non ha mai fatto riferimento alla necessità di modificare il regolamento dell’Aia perché dettato dai principi del nuovo Statuto. Tirato in ballo da una parte dalla Figc, e dall’altro dall’ala Trentalange che chiedeva spiegazioni, Malagò nella lettera spiega semplicemente di non essere “l’interlocutore istituzionale corretto e che pertanto non può intervenire direttamente sul merito della questione. Una questione che rientra a pieno titolo nell’ambito dell’autonomia tecnico-gestionale riconosciuta ex-lege a ogni federazione sportiva. Il Coni ha adeguato le proprie disposizioni statutarie e regolamentari tra cui i principi fondamentali degli statuti delle federazioni ed è in corso il processo di adeguamento delle federazioni”.

Nonostante la professione di unità d’intenti, la parte del Comitato Nazionale rimasta fedele a Pacifici e ormai minoritaria (dai cinque bisogna togliere Affinito e Zappi), pare abbia come ancora di salvezza solo il sostegno incondizionato all’imposizione calata dall’alto della Figc, mentre il gruppo di riferimento di Trentalange e Baglioni (sono in quattro) pare non disposto ad accettare quello che viene visto come un sopruso (eccesso di potere, dice a mezza bocca qualcuno) e si muove a difesa della dignità dei presidenti di sezione, mentre il terzo polo, composto da Zappi e Affinito, è tatticamente in attesa di cogliere ogni opportunità futura. L’estate non è ancora arrivata, eppure la temperatura è già hot.

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